Il pensiero del granchio
(Primavera 2004) Rubrica di ciò che il granchio pensa nel suo buco-giardino. |
Che io mi metta a parlare di cose tecnologiche
è bislacco, dato che, in fondo, io le disprezzo. Un esempio della
migliore tecnologia che io possa accettare è la mia macchina del
1981 che, se si rompe, il mio meccanico è capace di smontare e rimontare
in mezz'ora fino all'ultimo bullone. Invece non c'è spettacolo più
penoso di un meccanico, con la sua tuta blu, accasciato su un cofano di
automobile moderna a studiare disperatamente il manuale del computer di
bordo, sotto gli occhi sprezzanti dei passanti e dei clienti in attesa.
Almeno il professor Borbottoni - un mio vecchio stimatissimo amico - non
lo vede nessuno quando, in canottiera, sdraiato sul suo divano stile rococò,
studia ogni virgola del manuale di qualche periferica modernissima senza
fili, per tentare di indurla a funzionare. Alla fine ci riesce e, in fondo,
si diverte, ma, certamente, se, invece di usare tanto tempo per una ricerca
estranea alle sue competenze, l'avesse impiegato nel suo lavoro, ben più
importante, avrebbe incassato invece di spendere. E siamo nell'era fantasmagorica
del mitico 'plug and play', per cui un apparecchio, una volta collegato,
in qualche modo, alla CPU, dovrebbe funzionare immediatamente: parola di
Bill Gates. Anzi, forse ormai siamo nel 'post plug and play', come siamo,
si dice, nel 'post globalismo', e dalla 'deregulation' stiamo tornando
a riesumare le regole di una volta.
Quanta gente, nel mondo, si è comprato un personal computer o, peggio, un portatile o un palmare? Non c'è famiglia al mondo che non tenga in casa un elettrodomestico di questo genere, spesso inutilizzato. Eppure il computer dovrebbe sostituire almeno la vecchia macchina da scrivere che è ormai difficile trovare nelle vetrine dei negozi. Sia chiaro che non disprezzo solo i computer, che, anzi, sono quelli a cui voglio più bene, per le loro spiccate qualità umane, e, anzi, costituiscono uno dei miei hobbies più divertenti. Vedo che la tecnologia è sempre più in evoluzione caotica e manovrata da irresponsabili speculatori. Serve a rapaci fanatici 'professionisti' che, per le loro alte consulenze, vanno in giro a rastrellare quattrini a palate. Ci riescono perché i consumatori abboccano: sono sempre pronti a comprare alla cieca le mirabilia degli ultimi gridi. Solo troppo tardi si accorgono che le grandi novità creano più problemi di quanti ne risolvano. E nel campo dell'informatica le associazioni di difesa dei consumatori non sono abbastanza efficienti. Il risultato è che oggi la gente compra computer con contratti di tipo 'OEM' (Original Equipment Manufacturer) che rendono quasi insostituibile il sistema operativo accluso alla macchina e, a volte, non ne consentono né la reinstallazione né l'abbinamento ad altri sistemi operativi concorrenti, precedenti o successivi! Per non parlare dell'impossibilità legale, ormai invalsa da tempo, di installare lo stesso prodotto software su più di una macchina. Ma allora non chiamatelo più software! Software vuol dire morbido, flessibile, malleabile, adattabile, facilmente modificabile e quindi sostituibile a volontà. Il connubio tra la Microsoft e i fabbricanti di hardware più noti ha generato mostri di inefficienza e assurdità, come programmi Bios o 'drivers' di apparecchiature periferiche, personalizzati dalla casa costruttrice, che impediscono non solo la sostituzione o l'aggiunta di qualunque altro Sistema Operativo, ma, certe volte, anche l'uso di applicazioni che funzionavano benissimo col vecchio computer. Si tratta di una legittima politica commerciale tendente a sconfiggere le aggressioni della concorrenza? Ma allora perché la potentissima software house, con l'aiuto dei costruttori di hardware, si accanisce non solo contro il software che ha prodotto in precedenza, ma anche contro quello che produrrà successivamente? Ecco perché: il cliente alla fine si troverà con un pezzo di ferro (o di plastica) vecchio e non adatto a qualunque tipo di software non incollato già alla sua memoria. E così, se se lo può permettere, sarà costretto a comprare un nuovo computer col suo software sempre più inseparabile. Beh, io credo che contro queste imposizioni assurde la gente dovrebbe ribellarsi. La gente non dovrebbe più accettare questo ritmo folle, insostenibile, di qualcosa che chiamano progresso e sviluppo, ma che, spessissimo, è solo complicazione ingiustificata se non da una miope volontà di supremazia senza rispetto per le esigenze dei clienti e a danno dei concorrenti. L'utente dei computer, da un anno all'altro, vede raddoppiare o triplicare la velocità dei nuovi processori, raddoppiare o triplicare la capienza dei dischi fissi e della memoria centrale, ma, contemporaneamente, vede il sistema operativo - e quindi le nuove applicazioni - appesantirsi di prestazioni spesso superflue e pagate con una notevole perdita di velocità - occultata dalla maggiore velocità del processore - e richiedenti sempre maggiori quantità di memoria centrale e del disco fisso. A noi 40 o 80 gigabytes oggi sembrano un'enormità, ma domani i giochini e le applicazioni per leggere, scrivere e far di conto ci staranno strette. E sempre più ci si troverà alle prese con problemi come questo: si installa un'applicazione, la si prova e si impara ad usarla, ma dopo qualche tempo, in seguito a chissà quale azione non considerata accettabile, il sistema operativo rifiuterà di eseguirla! Oppure si installa un software per la gestione di ADSL e, se ti dimentichi di impostare opportunamente la protezione antivirus, alla prima connessione ti entra sicuramente un virus malefico che non si può cancellare in nessuna maniera e sei costretto a formattare il disco e a reinstallare tutto daccapo, almeno finché non si scoprirà un metodo più veloce. E, a proposito di virus, come non comprendere lo sconforto che ha indotto un ignoto analista di virus ad esclamare in latino: "Ceterum censeo Maicrosoftem delendam esse"? La contestazione unanime dello strapotere della Microsoft da parte dell'Europa produrrà certamente qualche risultato benefico, chissà quale, ma, ovviamente, non ci si può illudere che il colosso informatico rinunci impunemente alla sua supremazia sul mercato mondiale. Ma i consumatori, cioè i clienti, gli utenti, si devono svegliare. |