Il pensiero del granchio 
(Dicembre 2003)
Rubrica di ciò che il granchio pensa nel suo buco-giardino.

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Primi di dicembre 2003

Perché inveisco contro l'istituzione del condominio? Come accade perfino a me, le sollecitazioni alla riflessione e alla enunciazione di concetti o modelli pratici generali si generano da eventi contingenti e personali. Insomma, sono rimasto scottato. Fino ad oggi, da più di trent'anni, ho vissuto le vicende del mio condominio con perfetta apatia e con fiducia nella saggezza dei più attenti tra i miei condòmini. Ma ora ho notato che il nostro paese pullula di imprese che, fregiandosi di alta professionalità e usando tecnologia avanzata difficilmente controllabiile, pretende compensi spropositati per i loro discutibili servizi. I condomìni sono costituiti, per la maggior parte, da vecchi pensionati che, proprio quando il loro reddito diminuisce drasticamente, per le ragioni che tutti sanno, tendono ad abbassare la guardia e a rimanere vittime dei tanti sbruffoni che, quando un guasto si potrebbe risolvere con un chiodo, propongono invece una grande ristrutturazione, da realizzare con macchine modernissime. A volte, i figli dei pensionati, se hanno un pizzico di saggezza, aiutano i genitori ad essere prudenti e a non abboccare alle lusinghe di queste imprese supermoderne dai facili guadagni. Ma spesso i giovani condòmini, con la forza del loro reddito sicuramente più alto di quello dei pensionati (incapaci di contrattare e di lottare, anche se sono il 50% degli iscritti ai sindacati, che dovrebbero lottare anche per loro), si lasciano affascinare dalle telecamere teleguidate nelle fognature, dalle malte speciali accessibili solo ai professionisti e impongono spese esagerate a tutto il condominio. Non parliamo poi delle spese voluttuarie, per abbellire l'androne o accrescere il decoro del palazzo.
Mi viene da pensare che noi pensionati dovremmo abbandonare la casa, quando subentrano giovani rampanti e pieni di splendide iniziative dispendiose. Se potessi lo farei. Toglierei l'incomodo. Ma di questo passo verrebbe presto il momento di abbandonare il mondo e allora non saprei dove scendere.
Certo, gli inetti, così numerosi oggi, non potrebbero sopravvivere, non dico in un'isola dei famosi o dei fetusi, ma neppure in una villetta unifamiliare. Se si rompesse una tegola non saprebbero come ripararla. Se si guastasse l'impianto di riscaldamento sarebbero condannati all'assideramento. E più diventano vecchi, più la loro inettitudine si aggrava. Se hanno un grasso peculio e la sicurezza che le piccole truffe non lo scalfiscono, possono continuare a vivere felici, e la loro inettitudine è premiata. Ma se non l'hanno, sono destinati a soccombere.
Io voglio bene agli inetti. Anch'io sono uno di loro. Avrei voluto vivere libero tra spiagge e boschi, cacciando, pescando e raccogliendo frutti selvatici. E' sciocca retorica? E' luogo comune? E' il mito del buon selvaggio? Ma la vita cittadina rende inetti. Il cibo che mangiamo non lo meritiamo. La notte, il sonno s'interrompe e feroci angosce ci deprimono, perché le nostre membra non sono avvezze alla fatica e al riposo ristoratore dopo attività di costruzione e riparazione realmente appaganti. Le esigenze del troglodita che è in noi si risvegliano a volte e richiedono beni perduti: il silenzio, la pace. O la lotta per motivi reali, non inventati da miserabili assassini invasati o da potenti opportunisti.
 
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