“Strane creature” di Tracy Chevalier
Quasi ogni giorno la stampa, la televisione, la rete Internet ci sorprendono con notizie di nuove scoperte scientifiche ad opera di ricercatori appassionati e… non sempre istruiti nella materia della loro ricerca. Il mondo scientifico ufficiale reagisce sempre con una giusta dose di prudenza e, spesso, di scetticismo. E il più delle volte le scoperte si rivelano effimere, infondate, di scarsa importanza. Qualche volta invece trovano credito e si sviluppano alimentando le nostre curiosità e speranze in un progresso che dovrebbe essere sempre a vantaggio dell’intera umanità, non solo di chi ha il denaro per approfittarne.
Da qualche tempo da più parti si ascoltano o si leggono dichiarazioni di sfiducia per le scoperte che spesso vengono annunciate prima di accurate e obiettive verifiche. “Non si fanno i controlli incrociati” dicono. Esistono innegabili conflitti di interessi in molte ricerche finanziate da imprese private che hanno fretta di conseguire il risultato più redditizio.
Nei secoli passati le informazioni, ovviamente, non potevano diffondersi con la velocità raggiungibile ai nostri tempi, e anche le vere scoperte scientifiche trovavano avversioni dovute ad ansie, paure e credenze irragionevoli, perfino da parte di illustri scienziati.
La teoria evoluzionistica di Darwin oggi non ha più seri oppositori. Al massimo c’è qualcuno che discute sulle cause dell’evoluzione delle specie o che cerca di mettere d’accordo l’evoluzione e la creazione.
Ma in passato, sappiamo con quanta foga sia stata combattuta questa semplice evidenza che, forse, sarebbe stata seppellita sul nascere, se appassionati ricercatori, prima e dopo Darwin, non avessero trovato conferme inconfutabili, portando alla luce esemplari fossili di strane creature non esistenti nel mondo conosciuto.
Tra questi, Mary Anning, una ragazzina inglese del Dorset occidentale, di fronte alla Manica, vissuta nel secolo XIX, quando le donne erano vittime di pregiudizi maschilisti e, in quasi tutti i contesti sociali, considerate incapaci di intendere e di volere, e spesso non avevano neppure il permesso di accedere ad un minimo di istruzione.
Mary Anning era figlia di un carpentiere che costruiva mobili e infissi di legno nel villaggio marino di Lyme Regis e - a quanto narra Tracy Chevalier - in ogni momento libero, andava, portandosi dietro la figlia, a raccogliere fossili di conchiglie e pesci estraendoli dalle rocce della enorme scogliera stratificata che, dopo ogni mareggiata, offriva alla vista nuovi esemplari luccicanti. I fossili, raccolti anche da altri abitanti del luogo, venivano venduti ai villeggianti che frequentavano la spiaggia d’estate.
Mary, da bambina, era stata colpita da un fulmine mentre era in braccio a una donna che morì fulminata insieme ad altre donne che le stavano vicine, sotto un albero. Lei svenne ma si salvò e, nella sua vita, scoprì diversi fossili di grandi animali preistorici: tra gli altri, il primo ittiosauro e i primi due plesiosauri. Morì di cancro al seno nel 1847.
Tracy Chevalier, giovanissima scrittrice nordamericana (nata a Washington nel 1984), come già diversi autori, a cominciare da Charles Dickens, è stata attratta dal fascino di questa donna che la Royal Society ha incluso, nel 2010, nella lista delle 10 donne britanniche che più hanno contribuito alla storia della scienza. Ne aveva sentito parlare per la prima volta in un Museo di dinosauri e, forse, allora ha deciso di scriverne la biografia romanzata.
Nel romanzo la figura di Mary e di altre donne, giovani o mature, emergono in un mondo di presunzione, ipocrisia, stupide e opprimenti convenzioni sociali, odiose ingiustizie. Tutte sognano, in un modo o nell’altro, e lottano con tenacia per realizzare gli obiettivi delle loro passioni.
Come è mia abitudine cercherò di descrivere ciò che sento, mi commuove, mi attrae di questo libro, principalmente attraverso le citazioni.
Devo premettere che, contrariamente a ciò che ho fatto io riguardo al contenuto del suo libro, l’autrice non ha voluto svelare di narrare una storia vera fino ad un ‘poscritto’ finale, riservando così una certa gradita sorpresa almeno a chi ignorava l’esistenza di questo personaggio storico.
La Chevalier affida la narrazione di ogni capitolo alternativamente a Mary e alla sua grande amica Elizabeth Philpot.
Ecco l’incipit ispirato all’episodio più eclatante, quasi magico, della vita di Mary: la folgorazione.
“I lampi. Mi hanno sempre colpita i lampi. Ma una volta è successo davvero. Non dovrei ricordarlo perché ero poco più di una poppante, invece me lo ricordo, eccome! Ero in un prato e c’erano dei cavalli, dei cavalieri… Poi scoppiò un temporale e una donna – non era la mamma – mi prese in braccio e mi portò sotto un albero. Mi teneva stretta stretta e io guardavo in alto le foglie scure contro il cielo bianco.
Ci fu un gran rumore, come se tutti gli alberi fossero crollati di colpo intorno a me, e una luce, una luce abbagliante, come il sole quando lo guardi troppo a lungo. E un ronzio mi passò attraverso il corpo. Mi pareva di aver preso in mano un pezzo di brace… c’era odore di carne bruciata e una specie di dolore, eppure non faceva male, ma mi sentii rovesciare come un calzino” (pag. 2).
…
“Sento l’eco di quel fragore ogni volta che trovo un fossile, una piccola scossa che dice: ‘Sì, Mary Anning, tu sei diversa dalle altre rocce della spiaggia’. E’ questo che vado cercando ogni giorno: il fremito della saetta, la mia differenza” (pag. 3).
La povera piccola Anny, con la scarsa autostima di tutti i poveri, si sente come una roccia tra le rocce e, solo quando trova un nuovo fossile, si sente diversa, come colpita da un altro fulmine.
Nel capitolo 2 prende la parola Elizabeth che, forse, è l’alter ego dell’autrice.
“Mary Anning parla con gli occhi. Me ne accorsi appena la conobbi, quando era ancora bambina. Ha gli occhi bruni e lucenti, e lo sguardo attento del cacciatore, come se fosse sempre in cerca di qualcosa, perfino quando è per la strada o in casa, dove di solito c’è poco da scoprire. La fa apparire così vivace! Le mie sorelle dicono che anch’io ho l’abitudine di guardarmi sempre attorno, ma non lo intendono come un complimento” (pag. 9).
Anche Elizabeth ama raccogliere e conservare fossili, ma in più ama studiarli, leggere i libri degli scienziati dell’epoca, azzardare ipotesi considerate eretiche dalla mentalità comune. Il prete del villaggio cerca di dissuaderla dal prestar fede a teorie scientifiche non suffragate dalla verità rivelata.
Non si può non cogliere il contrasto stridente tra il comportamento di queste due eroiche raccoglitrici e il modo di vivere, le aspirazioni convenzionali delle altre donne che vivono nel villaggio.
“La più giovane delle mie sorelle, Margaret, parla con le mani. Le ha piccole ma graziose e con le dita affusolate, ed è la più brava a suonare il piano. Ha la tendenza a muoverle anche mentre balla…” (pag. 9).
Poi c’è Frances, l’unica sposata delle sorelle di Elizabeth, che “parla con il … petto, il che forse spiega perché abbia trovato marito”. La sorella Louise, la più grande, parla anche lei con gli occhi, come Mary.
Tutte aspirano a trovare un amore stabile, un buon matrimonio, dei figli, una vita tranquilla, ma le passioni di Mary e di Elizabeth sono troppo forti perché le due donne possano cedere a sogni romantici e borghesi.
Ed ecco come Elizabeth inizia la sua carriera di raccoglitrice, quando ancora non conosce Mary:
“A me bastò scoprire un’ammonite dorata che luccicava sulla spiaggia tra Lyme e Charmouth, per soccombere all’eccitazione che suscita la scoperta di un tesoro inaspettato. Presi a frequentare le spiagge assiduamente, anche se allora erano poche le donne attratte dai fossili. Veniva considerato un passatempo stravagante e sudicio e poco adatto a una signora. Non me ne importava nulla. Pazienza se la mia femminilità ne avesse risentito: su chi dovevo far colpo?
E’ strano il piacere che danno i fossili. Non tutti li amano, perché in fondo non sono che le spoglie di antiche creature. Se ci pensi troppo a lungo finisce che ti chiedi che ci fai con un cadavere impietrito fra le mani. Eppure li trovo affascinanti perché non appartengono al nostro mondo, ma provengono da un passato difficile da immaginare. Prediligo i pesci fossili, perché la trama delle scaglie e le pinne li accomunano a quelli che mangiamo ogni venerdì, avvicinandoli al presente pur nella loro stranezza.
Fu grazie ai fossili che conobbi Mary Anning e la sua famiglia…” (pag. 21)
Elizabeth conosce prima il padre di Mary, Richard, quando va a chiedergli di costruirle un mobile a vetri per custodire la manciata di fossili raccolti fino a quel momento sulle spiagge di Lyme Regis. Non si accorda sul prezzo, si offende e se ne va, ma si mette a conversare con Mary che sta fuori della bottega e vende fossili raccolti in grande abbondanza. Ecco, il rapporto tra le due donne comincia quel giorno. E’ un rapporto di simpatia profonda e, in seguito, anche di rivalità, di invidia, liti e riconciliazioni, e infine di stima appassionata e affetto incondizionato.
Mary, pur essendo una bambina, ha già passato tante giornate col padre sulle spiagge, ha trovato tanti fossili, li ha puliti a dovere e li ha venduti. Perciò può trasmettere ad Elizabeth le sue preziose esperienze, in cambio delle nozioni scientifiche e di qualche soldo che Elizabeth generosamente le offre. La famiglia di Mary è una delle più povere del paese e cade in una miseria peggiore dopo la morte di Richard, in seguito a una caduta dalla scogliera.
“La mamma aspettava un altro bambino. Io e Joe dovemmo portarla quasi di peso in Colombe Street per il funerale. Che spettacolo: due ragazzini e una donna incinta dietro una bara che non avevano neppure pagato. Infatti il pastore aveva organizzato una colletta e parecchia gente era venuta a vedere come erano stati spesi i suoi soldi”. (pag. 53)
Mary e il fratello Joe, una sera d’inverno, portando con loro il fratellino Richard (ha lo stesso nome del padre morto), mentre la mamma rimane a casa a dormire, vanno a vedere sulla scogliera una gran testa di rettile che Joe poco prima ha scoperto. Credono che sia un coccodrillo, ma si accorgono subito che è una bestia diversa: un muso lungo e pieno di denti con un occhio “grosso come una pagnotta”.
Il piccolo Richard muore l’estate dopo, come è accaduto già ad altri fratellini di Mary e Joe.
Ma il grosso cranio viene estratto dalla roccia e trasportato a casa degli Anning ad opera di due operai assoldati da Elizabeth. Il corpo dell’animale rimane nella roccia e, il giorno dopo, conteso da un vecchio raccoglitore, viene sepolto da una frana.
Lord Henley, rozzo e ignorante padrone di tutte le scogliere del circondario, udita la notizia del ritrovamento è deciso a farsi consegnare il fossile.
Elizabeth va a trovare Mary per avvertirla delle intenzioni del lord e per vedere da vicino il cranio. Mary ne ha già iniziato la pulizia. Elizabeth, validamente aiutata dalla madre di Mary, riesce a convincere Lord Henley che la famiglia Anning ha diritto ad essere pagata per il ritrovamento del grande fossile e per il lavoro di pulizia che durerà due anni. Intanto il “coccodrillo” viene esposto nel circolo del villaggio, e i visitatori pagano un penny agli Anning per vederlo.
Un giorno, dopo una burrasca poderosa, “lasciai il tepore del mio letto, mi vestii e corsi alla scogliera. Il sole era una scheggia di luce su Portland e il litorale era deserto…”. “Quando arrivai in fondo alla Church Cliffs scoprii che la frana era stata spazzata via, e la burrasca aveva pulito la spiaggia quasi fosse in attesa di un ospite di riguardo. China sull’orlo della cavità, Mary stava già lavorando di martello” (pag. 91-92). Il corpo del “coccodrillo” è di nuovo accessibile. Viene estratto in tre giorni e unito al cranio. E’ “un enorme mostro di pietra – più lungo di due persone stese una di seguito all’altra – che non assomigliava a nessun altro animale di cui fossi a conoscenza…”. “Nell’insieme faceva pensare a un delfino, a una tartaruga e a una lucertola bizzarramente mescolati fra loro” (pag. 93).
Mary pulisce tutte le ossa, le unisce e le vernicia con smalto. Poi le sistema in una cornice di legno preparata da Joe e le consegna al cliente Lord Henley, l’ignorante presuntuoso e stupido padrone di quelle terre, convinto che Dio abbia scartato quei tipi di animali per crearne altri migliori, contrariamente al reverendo Jones che, con diversa stupidità e presunzione, ritiene che tutti gli animali esistenti siano così come Dio li ha creati e che i fossili siano stati messi nelle rocce per mettere alla prova la nostra fede!
Henley è un collezionista, non un cacciatore.
“I collezionisti hanno elenchi di cose che desiderano procurarsi, vetrine piene di curiosità frutto delle ricerche altrui. A volte escono in spiaggia e passeggiano lungo la battigia, guardando le scogliere con aria annoiata, come a una mostra di quadri scadenti. Per loro le rocce sono tutte uguali…”. “Noi cacciatori trascorriamo ore e ore, giorno dopo giorno, davanti al mare, con ogni tempo. Abbiamo le facce scottate dal sole, i capelli arruffati dal vento, gli occhi perennemente strizzati, le dita screpolate. Le nostre scarpe sono bordate di melma e scolorite dall’acqua salmastra. La sera rincasiamo con le vesti sudice e spesso senza aver trovato nulla” (pag. 94).
Spesso, a primavera, le sorelle Philpot lasciano il tranquillo villaggio marino e tornano a Londra, ospiti del fratello John e di sua moglie, per rifornirsi di vestiti, cappelli e guanti, comprare riviste e libri, visitare musei. Durante una delle visite ad un museo, Elizabeth scopre il grande fossile scoperto da Mary e Joe, esposto in maniera ridicola: addobbato con un panciotto e un monocolo su uno dei grandi occhi. L’etichetta porta la scritta “COCCODRILLO DI PIETRA trovato da Henry Hoste Henley nelle regioni selvagge del Dorsetshire”. Elizabeth si sente molto offesa dall’irrispettoso modo di esporre il reperto, dalla mancanza di cenni all’autrice della scoperta e dalla leggerezza con cui Henley ha venduto l’animale senza dirlo a nessuno.
Tornata a Lyme, Elizabeth va subito a trovare il Lord nella sua tenuta per protestare, ma non ottiene nessuna comprensione e se ne torna a casa con le scarpe sporche di fango. E quando racconta a Mary la penosa scoperta fatta a Londra, la ragazza non trova niente di offensivo e anzi rimane compiaciuta del fatto che tanta gente va vedere il suo trofeo esposto in un museo.
Mi fermo qui. Non posso raccontarvi tutto, anche se questo non è un libro giallo. Se decidete di leggere questo romanzo, troverete la prosa di Tracy Chevalier molto più convincente della mia rozza esposizione. E poi io, forse come chiunque provi ad esporre la trama e la propria interpretazione di un libro, in fondo finisco per parlare soprattutto di me, dei miei gusti, delle sensazioni, talora assurde, che provo prima, durante, dopo e al di là della lettura.
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