ItalianoINDICE ------------- INDEXInglese

Il pianeta Saudar

Capitolo 9

Il Museo di Storie Naturali di Corvasta sorgeva in mezzo a un largo pianoro di forma circolare interamente occupato da rigogliosi giardini. Il palazzo del Museo, di pianta ottagonale, aveva otto porte d’accesso, una per lato, e da ogni porta partiva una lunga strada gialla che andava a perdersi nella foresta oltre la circonferenza lontana, dove sorgevano, qua e là, altri palazzi della città.

Era una mattina luminosa di primavera e l’affluenza era ancora scarsa. Pagila e Astrugaria, giovane coppia di Warìti, erano entrati da pochi minuti e procedevano a lenti passi attraverso le sale zeppe di reperti e di grandi schermi sui quali erano proiettate vistose spiegazioni illustrate.

Pagila poteva dirsi esperta di quel museo e ogni tanto si avvicinava al suo compagno per rivelargli qualche segreto che non si poteva ricavare facilmente dalle spiegazioni ufficiali. Gli oggetti che riempivano le prime sei stanze erano scheletri, manufatti, piccoli resti imbalsamati di creature estinte, ricostruzioni plastiche di animali, piante e ambienti preistorici, tutti ritrovati nel pianeta. Ma Pagila sapeva che dalla settima stanza iniziavano i reperti innumerevoli provenienti dall’universo e dai suoi miliardi di stelle e pianeti che ogni buon saudariano era curioso di conoscere almeno in parte. Quando ebbero abbandonato la sesta sala e si trovarono, sorridenti e soddisfatti, nell’atrio intermedio che li separava dalla settima, con porte a chiusura ermetica, Pagila era ansiosa di mostrare al suo caro amico gli oggetti incredibili che ricordava di aver visto l’anno precedente.

Ma quando la porta automatica si aprì fu sbalordita vedendo che tutto quello che ricordava non c’era più e tutto quello che vedeva era ignoto per lei.

Al centro della sala, su un piedistallo, una creatura imbalsamata molto simile a uno di loro, un vecchio Warìti, sembrava fissarli con uno sguardo severo e assorto. La creatura, vestita di una elegante tuta blu, era ritta sulle gambe e teneva una tastiera di computer con la mano sinistra, mentre l’indice dell’altra mano sembrava puntato verso i visitatori che entravano.

I due giovani si avvicinarono timorosi e man mano si accorsero che quell’indice e quello sguardo erano rivolti dietro di loro. Perciò si voltarono e videro un grande schermo sopra alla porta d’ingresso, sul quale lampeggiavano ora rosse e violente eruzioni vulcaniche, ora onde spaventose che si abbattevano su atolli, ora enormi masse ghiacciate che crollavano in un mare sconvolto, ora boschi incendiati e stormi di uccelli impazziti intorno a nuvole di fumo. Quando tornarono a camminare verso il vecchio imbalsamato e arrivarono vicino al piedistallo, molto più alto di quel che sembrava all’entrata, lessero su una targa: “Homo stultus insipiens”.

Pagila volle leggere anche le spiegazioni che comparivano sugli schermi lungo le pareti della stanza, dove non erano esposti altri oggetti. Lesse ad alta voce, come se il suo amico non ne fosse capace:

“L’esemplare esposto al centro di questa sala fu portato sul nostro pianeta da una squadra di esploratori che riferirono di avere assistito a una catastrofe temporanea imprevista del pianeta Terra e di avere salvato a stento quell’unico indigeno. L’uomo, chiamato Martino, visse tredici anni tra noi, accolto con tutta la pietà e commiserazione di cui i saudariani sono capaci con gli alieni di ogni colore. La comunità scientifica concepì il progetto di modificare il suo codice genetico rivelatosi difettoso per poterne reimpiantare la stirpe sul pianeta che frattanto si andava rigenerando naturalmente. Questo fu uno dei pochi progetti saudariani risultati irrealizzabili nella nostra storia. Ma la ricerca continua almeno per sciogliere i nodi più intricati del programma genetico umano che, a detta di alcuni esperti saudariani, appare molto simile al software più usato nei computer terrestri.

I geni degli uomini avevano caratteristiche rimaste ancora oggi misteriose. L’indole sanguinaria e predatoria che, generalmente, si indirizzava contro individui della stessa specie e, solo in brevi periodi felici, sembrava pacificarsi riemergeva ogni volta con una virulenza che non lasciava adito a illusioni.

Martino, tuttavia, sembrava stranamente diverso dagli altri. In lui era stata osservata in più occasioni la rara capacità di azzerare ogni impulso aggressivo, di riconoscere gli errori fatti, di ascoltare le critiche con attenzione, di ridere di se stesso e di essere disposto a correggersi. Per questo, in un primo momento, i nostri scienziati credettero possibile la restaurazione genetica che l’avrebbe reso idoneo a instaurare sulla Terra una nuova storia di stabile civiltà. La Comunità Scientifica era pronta a tentare, dopo l’intervento genetico, la riproduzione in vitro o, in alternativa, la riproduzione naturale con la collaborazione della giovane ricercatrice Carsidia che, a questo scopo, si era offerta spontaneamente, e alla quale va tutta la nostra gratitudine per la preziosa attività di assistenza all’alieno.

La collaborazione di Martino al progetto fu completa e incondizionata, ma questo non poté impedire il fallimento di ogni tentativo di correzione genetica.

La primitiva diagnosi di malvagità congenita, come un peccato originale, una macchia eterna indelebile, presto si rivelò ingenua e superficiale. C’era in quella specie animale una tendenza irremovibile alla contraddizione razionale e alla complicazione che portava gli individui meno titubanti a pretendere di ergersi a guide indiscusse, talora elette dai popoli, e a scrivere leggi e contratti incomprensibili e vessatori, dai quali le vittime, prescelte o casuali, difficilmente potevano districarsi. Poteva sembrare individualismo eccessivo, diffidenza verso il resto dell’umanità, ma il più delle volte era semplice stupidità che impediva ogni possibilità di accordo. Solo così si spiegano quelle guerre tra diverse nazioni o fazioni che duravano centinaia di anni fino alla distruzione totale di una parte o ad un provvido regresso tecnologico tale da impedire ai contendenti di incontrarsi, di riconoscersi come nemici, di ricordare il sangue versato.

Ogni volta che uno studioso umano si trovava di fronte a un problema aveva l’abitudine, apparentemente sana, di circoscriverlo in confini invalicabili, e, ciò facendo, trascurava aspetti fondamentali che annullavano qualunque soluzione parziale. Ad esempio, se uno si metteva a cercare soluzioni al degrado ambientale, quando non cadeva nell’errore di limitare lo studio a un territorio delimitato, dimenticava che, col passare degli anni, la popolazione mondiale, colpevolmente istigata a riprodursi senza limiti, cresceva tanto da vanificare qualunque rimedio.

Questa incontenibile tendenza alla limitazione, alla frantumazione dei problemi, spesso integrata da una uguale tendenza, apparentemente opposta, alla generalizzazione, portò l’umanità a diventare una folla di specialisti insolenti e superficiali, in contrasto con il seguente principio enunciato in uno dei periodi fiorenti della storia terrestre:

‘Homo sum et umani nihil a me alienum puto”.

Abbiamo riportato il principio così come è stato scritto in un volume terrestre, nella lingua aulica chiamata ‘latino’, parlata per molti secoli in una penisola chiamata ‘Italia’ e in molti territori circostanti. Questo testo significa:

“Io sono un uomo e pertanto non posso ritenere estraneo a me niente di ciò che è umano”.

Quale sia la ragione per cui tale prezioso principio sia stato abbandonato è incomprensibile per qualunque saudariano. Ricordiamo che in quello stesso periodo, chiamato ‘Rinascimento’ italiano, visse – e fino all’ultimo fu apprezzato – uno scrittore che considerò l’assassinio un ottimo strumento di attività politica e amministrativa.

Gli specialisti si raggruppavano in circoli, congreghe, corporazioni, al fine di propugnare gli interessi degli accoliti in aperto e strenuo contrasto con gli altri gruppi. Molti dissero di voler difendere i loro diritti che però, spesso, erano contrari ai diritti fondamentali di qualunque essere vivente. In certi circoli si arrivò a credere di potere conservare in eterno il diritto a mangiare e a bere quando era evidente che il cibo e l’acqua erano ormai insufficienti per il numero enorme di abitanti della Terra, a cui l’uomo aveva inferto colpi mortali con le emissioni mefitiche delle sue macchine infestanti.

I filmati proiettati sullo schermo indicato dal Martino mummificato mostrano i grandi sconvolgimenti che avvennero nei due millenni successivi alla scomparsa dell’umanità. Attualmente, come abbiamo già accennato, la terra e la sua biomassa, liberata dalla specie dannosa, sembra avviata ad una felice esistenza per altre migliaia di anni.

La comunità scientifica saudariana continua a tenere questo interessante pianeta sotto osservazione nella speranza di risolvere i suoi enigmi e di vedere evolversi finalmente specie più adatte ad una convivenza pacifica e felice. Si seguono con attenzione alcuni cetacei, certi elefanti, le cince e i pappagalli cinerini.

I cittadini in visita a questo reparto sono invitati a contribuire, nei modi previsti dalla Direzione del Museo, ad ogni tipo di ricerca sul pianeta Terra, in quanto ogni buona idea può servire alla soluzione di analoghi residui problemi della nostra Civiltà”.

Terminata la lettura, Pagila sorrise al suo compagno, gli porse la mano e lo condusse verso l’uscita.


ItalianoINDICE ------------- INDEXInglese