Quando Carsidia ebbe finito
di leggere, Martino non osò aprire bocca. Con la testa piena di pensieri che la
lettura gli aveva suscitato a sciami, si avviò verso la scala, mentre la
ragazza, silenziosa e visibilmente commossa, interrompeva, col suo telefonino,
la proiezione. “Perché hai tanta fretta di
uscire?” chiese Carsidia mentre lo raggiungeva. Scesero le scale. Fuori, in
giardino, qualche raffica violenta scuoteva il fogliame annunciando una
tempesta imminente. “Perché?” ripeté Carsidia,
mentre lo conduceva alla macchina. Martino si era ripromesso,
come spesso aveva fatto sulla terra, di non mentire e di non nascondere i suoi
pensieri agli altri. “Ascolta.” disse fermandosi
a metà strada “Ho visto che per te le parole della Costituzione sono qualcosa
di sacro a cui non si può disubbidire. Da noi, in terra, non è così. Spesso le
leggi ordinarie contraddicono quelle fondamentali. E, peggio ancora, le
sentenze dei giudici spesso sono formalmente corrette, ma sostanzialmente ingiuste.
Per quanto qualche raro saggio si sia sforzato, nel corso dei secoli, di
trasmettere messaggi ragionevoli e pacifici alla gente, una vera giustizia non
esiste sulla terra. E perché non esiste? Perché l’uomo, come ogni animale, ha
dentro di sé un codice di comportamento che difficilmente si può modificare. Se
un uomo si arrabbia con un suo vicino deve per forza aggredirlo in qualche
modo, altrimenti dovrà pagare il suo autocontrollo con qualche malattia
psicosomatica”. Carsidia scoppiò a ridere.
Poi disse: “Va bene, quello che si
arrabbia e si sfoga poi si sente meglio, ma quello che ha subito l’aggressione
sta peggio!”. “Certo, certo… potrebbero
anche star peggio entrambi, sentirsi in colpa o, comunque, non essere per
niente appagati. Ma, voglio dire, l’impulso aggressivo, o anche l’appetito, il
bisogno, è molto più forte di qualunque legge morale, tanto da indurre l’uomo a
trasgredire in ogni momento, ad ogni occasione. Come fa, poi, un uomo indigente
a rispettare la proprietà, protetta dalla legge? Quando ha fame un uomo deve
sfamarsi e, per farlo, può anche arrivare ad uccidere”. “Piano, piano. A sentire te,
sembrerebbe che le leggi buone sono state scritte, ma che nessuno è in grado di
rispettarle. Ma io, che ho studiato tutto della terra, posso dire
tranquillamente che nessuna buona legge è mai stata scritta: nessuna legge che
serva ad una vita tranquilla e pacifica e impedisca a chiunque di compiere
delitti”. “Non diciamo scempiaggini!”
esclamò Martino spazientito “Io non ho detto che siano state scritte buone leggi.
Ma come può una legge impedire i delitti?”. “Una legge no, e neppure
un’accozzaglia di migliaia di leggi assurde e contraddittorie, ma un codice
corretto, impostato su principi di convivenza pacifica, che spazzi via dal
mondo qualunque situazione che possa convincere una persona a nuocere…”. Martino non poté continuare
ad ascoltare. Stava veramente parlando con una monachella fanatica. Si voltò,
raggiunse la macchina e, prima di salire, aspirò profondamente l’aria fresca e diede un ultimo sguardo ai cespugli del giardino agitati dal vento e al bianco palazzo della Costituzione.
Carsidia lo raggiunse e
riprese: “I popoli della terra sono sempre divisi in caste, classi o ceti, che
comportano rivalità e soprusi tali da impedire anche la scrittura di buone
leggi. Non accade mai che un ceto debole partecipi realmente alla legislazione.
Quando sembra che lo faccia è accaduto semplicemente che quel ceto non è più
tanto debole e che ai potenti è apparso chiaro che non conviene più opprimere
quelli che prima non potevano reagire ed ora possono”. Salirono sulla macchina. “Ok.” disse Martino mentre
Carsidia avviava il veicolo “Le tue ultime affermazioni sono condivisibili.
D’altra parte io sono convinto che la voglia di prevalere sia naturale e che la
legge non possa soffocarla. Se lo fa va contro la natura e quindi non
funziona”. Carsidia lo guardò con aria
severa. “La prepotenza” disse “deve
essere soffocata. Certamente è inutile farlo se non si eliminano prima le
condizioni che favoriscono i soprusi e la violenza”. “E come, come? Come si
eliminano queste condizioni? Quali sono?”. “Beh” disse Carsidia “le
condizioni sono semplicemente le disuguaglianze. Se una persona ha ricchezza e
potere, ha un alloggio sontuoso, può sfamarsi a sazietà, può avere tutti i
piaceri che desidera, può essere curata quando è malata, mentre un suo vicino
povero e impotente non ha quasi niente per sopravvivere, la conseguenza di
questa situazione è ineluttabile: o il povero si ribella e si impadronisce di
almeno una parte delle ricchezze del ricco o dovrà accettare di soffrire e
soccombere. Ma se la legge impedisce che i beni della terra siano conquistati
dai prepotenti lasciando ogni possibile risorsa a disposizione di tutti, chi
potrebbe pensare di aggredire qualcuno? Che vantaggi darebbe la violenza?”. “Ora è chiaro” disse
Martino. E scoppiò a ridere. Carsidia lo guardò con aria offesa. “Siete
comunisti.” riprese Martino “Durerà poco. In terra il comunismo è tramontato quindici
anni fa”. “La nostra” disse Carsidia
sorridendo con aria compassionevole “è una situazione stabile. Non abbiamo
nemici. O almeno… non abbiamo nemici capaci di reagire”. “Che vuoi dire?”. Carsidia sorvolò: “L’egoismo
dell’uomo è comune a tutte le specie. E’ naturale. E’ il suo spirito di
sopravvivenza. Ma non deve trasformarsi in brutalità. Non gli conviene. Deve
capire che la violenza verso gli altri è sempre complementare alla violenza
verso se stessi: ne è la causa o l’effetto o addirittura è lo stesso fenomeno.
Chi è sadico è sempre anche masochista in tempi diversi o coincidenti. E’
giusto stabilire una priorità: penso prima a me e poi agli altri. Anzi se non
salvo me stessa, come posso salvare gli altri? Ma anteporre il mio interesse a
quello degli altri non significa affermare la mia superiorità fino ad opprimere
o addirittura a sopprimere altre persone…”. Martino ascoltava a testa
bassa, con aria rassegnata. Sembrava quasi che si stesse addormentando. “Che hai?” chiese Carsidia. “Stiamo andando lontano…”
disse Martino “Quello che sto pensando è che la vostra costituzione è molto
bella, idilliaca, ma ingenua. Anche sulla terra esistono costituzioni di grande
saggezza. Per esempio, la Costituzione del mio paese è un capolavoro di
saggezza. Ma questi tipi di documenti, con l’andar del tempo, finiscono per
diventare talmente estranei alla mentalità comune, che rimangono lettera
morta”. “Ma tu” disse la ragazza
“consideri soddisfacente questa situazione? C’è qualcosa che vorresti cambiare?
Vorresti modificare la Costituzione, le altre leggi o la mentalità comune?”. “Beh, vedi,” rispose l’uomo,
mentre guardava, sotto di lui, il mondo verde-bruno che sfrecciava via “non so
se posso confidarmi con te…”. Con questa confessione
imbronciata, provocò di nuovo il riso della ragazza. Poi riprese: “Ecco, da
giovane, tutti mi consideravano un timido. Mi sudavano le mani, in presenza di
estranei. Era il mio modo di reagire alla paura che avevo di gente che vedevo
sempre come… feroci inquisitori. Poi, crescendo, mi sono reso conto che anche
gli altri hanno paura. Ognuno ha paura degli altri e reagisce mostrando i denti
e ringhiando, esattamente come fanno i cani. Non se ne accorgono, non sanno di
avere paura. Quello che chiamano sorriso non è altro che un modo per mostrarsi
sicuri e, possibilmente, superiori. Quando parlano velocemente, senza dare il
tempo all’interlocutore di afferrare un argomento e di ribattere, hanno paura:
vogliono sottrarsi alle argomentazioni degli altri… Ma tu perché hai riso? Che
c’è di ridicolo nel fatto che io abbia voglia di confidarmi con te?”. “Acc…” rispose Carsidia “Sei
sorprendente. Non sembrava che la mia risata ti avesse colpito un minuto fa. Io
non ho riso perché tu voglia confidarti con me, ma perché non sai se puoi
fidarti di me. Ammetti che questo possa destare il riso in un essere estraneo
ai tuoi crucci e dubbi, che ti vede e ti giudica come tu potresti fare con un
criceto o un topolino…”. Martino la guardò con occhi
sgranati, sentendosi drizzare i capelli e accapponare la pelle. “Non guardarmi così”
aggiunse Carsidia accarezzandogli una gota con un dito e distraendosi dalla
guida “Non ti sto minacciando”. In quel momento il veicolo
ebbe uno scossone; si aprì un opercolo e la guidatrice fu espulsa. Martino si sentì soffocare e
fu preso dal panico. L’opercolo si chiuse immediatamente e l’aereo continuò la
sua corsa folle come se niente fosse successo. Un piccolo altoparlante
gracchiò sul pannello dei comandi. L’uomo cercò la manopola del volume, ma la
confusione mentale gli impedì di afferrare il significato delle figurine
illustrative. Prese l’unica decisione sensata: non toccare nulla. Si ricordò del telefonino.
Mentre lo prendeva ne udì lo squillo. Provò a premere un tasto verde, appoggiò lo
strumento all’orecchio, udì la voce di Carsidia e subito il livello del suo
stato di allarme si abbassò. “Mi senti, Martuccio?”. “Ti sento”. “Stai sorvolando una zona
turbata. Afferra la cloche e fa tutto quello che ti dico”. Quando, dopo molti minuti,
gli ordini di Carsidia furono tutti eseguiti, la navicella atterrò dolcemente
in una radura. Carsidia, munita di microrazzi, volando come un calabrone,
rientrò da dove era uscita. Martino sorrise per la gioia
insieme di essere riuscito ad atterrare senza provocare altri disastri e di
essersi riunito alla sua guida meravigliosa. I sintomi della paura, tuttavia,
non erano ancora scomparsi. Si sfiorò la fronte con le dita e si accorse che
era madida. Carsidia gli asciugò tutto il volto con un foglietto di carta
assorbente e poi gli baciò la fronte. Si mostrò addolorata per l’incidente e lo
strinse un po’ a sé per confortarlo, come se fosse un bambino. E Martino si
sentì abbastanza rassicurato da esprimere tranquillamente il suo ricorrente
pensiero: “Ma allora non è tutto così perfetto”. “No, certo… E’ colpa mia.
Avrei dovuto predisporre il posto del passeggero per l’espulsione automatica di
emergenza e darti questi microrazzi. Mettili ora… Ecco, così”. Gli allacciò una cintura con
microrazzi incorporati. “Però” continuò “se tu non
fossi rimasto al tuo posto, avremmo rischiato di perdere la navicella”. “Ma che fine avrei fatto”
disse Martino “se tu non avessi potuto comunicare con me per darmi le
istruzioni?”. “Probabilmente, dall’altra
parte, la navicella sarebbe stata intercettata da una nostra postazione e
teleguidata verso un aeroporto o un altro deposito sotterraneo. Ma così la mia
missione sarebbe fallita”. “Che vuol dire ‘dall’altra
parte’?”. “Ti ho detto che stavi
sorvolando una zona turbata. E’ un’area del pianeta abitata da una popolazione…
diciamo primitiva. Quest’area è protetta da un vecchio scudo magnetico che può
ingannare gli strumenti della navicella…”. “Come, come? Una popolazione
primitiva? Una terza specie intelligente?”. “No. Sono sempre delle
nostre due specie, ma non accettano le nostre regole”. “Non ho capito”. “Hanno un’altra
costituzione, fondata, come quelle terrestri, sulla libertà senza limiti dei
forti e sulla sopraffazione dei deboli. In quell’area, più o meno, si vive come
in uno stato terrestre”. “Ma come è potuto succedere?
Io cominciavo a convincermi che voi aveste dentro di voi, nel vostro codice
genetico, una natura più mite di quella che divampa nel cuore dell’umanità.
Questa notizia mi sconvolge”. “Beh, l’hai detto tu, non
tutto è perfetto su Saudàr. Ma, vedi, i nostri antenati non potevano non
rispettare la libertà dei, diciamo così, ‘dissidenti’. Per questo li hanno
isolati con uno scudo protettivo in un territorio abbastanza ampio da
permettere loro una vita agevole, non ostante il disordine demografico a cui sono
dediti.”. “Questa cosa, sul nostro
pianeta, si chiama deportazione, non rispetto della libertà”. “Già – ribatté Carsidia – ma
qui si è scelto di non correre rischi. Chi preferisce vivere in un regime che
ritiene di libertà senza fine può tranquillamente trasferirsi nel territorio
protetto, a condizione che il loro governo, anzi qualcuno dei loro governi, li
accetti. Devono passare un esame. Ogni anno c’è qualcuno che ci prova”. “E ci sono casi di
migrazione contraria?”. “Ci sono tentativi di fuga
che raramente riescono”. “Che vuoi dire? Chi li
ferma?”. “I dissidenti dovrebbero
chiedere un permesso al loro governo, ma sanno che non lo otterrebbero, e
quindi cercano di passare dall’unico varco dello scudo, che però è sorvegliato
notte e giorno”. “Ah! – la interruppe Martino
– conosco questa situazione. E’ come ai tempi del muro di Berlino! Solo che
allora i dissidenti perseguitati dal regime comunista cercavano di scappare
verso il mondo libero”. Carsidia lo fissò con una
smorfia ironica. Poi riprese: “Non c’è nessuna differenza.
Tutti cercano di riconquistare una libertà che ritengono di avere perduta. E la
libertà è dalla nostra parte. Noi non impediamo ai nostri ‘dissidenti’ di
emigrare verso il mondo che chiamiamo ‘protetto’, e neppure ai loro dissidenti
di venire da noi, se riescono a passare la barriera di sentinelle. Sono loro
invece che, prima di ammettere qualcuno nel loro mondo, lo sottopongono ad
esami severissimi… E’ anche vero che siamo noi a mantenere attivo lo scudo
magnetico. Loro non posseggono i mezzi tecnici e scientifici per annullarlo…
Oppure non vogliono farlo”. “E siete sempre voi, quindi,
a mantenere attivo il varco di cui mi parlavi”. “Sì, certo…”. Lo guardò
negli occhi con intensità inconsueta. Martino pensò che stesse cercando di
leggergli il pensiero. “Capisco i tuoi dubbi e le
tue curiosità” disse Carsidia e a Martino si drizzarono ancora una volta i
capelli. “Tu sai che noi non abbiamo
armi offensive e distruttive. I Protetti invece ne hanno e le usano tra loro.
Si uccidono, si disturbano, si tormentano continuamente. Sono divisi in
città-stato, alcune apparentemente democratiche, altre palesemente asservite a
un tiranno. Se questo non bastasse, in ogni città esistono caste dominanti e
folle di schiavi, proprio come sulla terra…”. “Non esageriamo – la
interruppe l’uomo sorridendo – lo schiavismo è stato abolito in tutto il mondo
da almeno 100 anni…”. “Ah, sì? E come chiami il
lavoro degli spazzini, dei manovali, delle casalinghe, degli autisti, dei
portaborse, dei contadini, degli allevatori di animali, delle prostitute?
Queste e molte altre categorie vengono mantenute in vita solo per servire le
famiglie di rango superiore. Chi non si assoggetta viene licenziato e
abbandonato nella miseria. Da quel momento può solo frugare nei rifiuti,
dormire in una macchina o essere assistito da vacillanti organizzazioni
caritatevoli che gli forniscono un pasto, ma non sempre un letto per dormire”. Qui Martino cominciò ad
arrabbiarsi. “Basta! – gridò – Questa è
bieca ideologia marxista! Io per trovare un lavoro ho dovuto studiare per molti
anni, ho sgobbato, ho buttato l’anima! La gente che viene licenziata o che non
trova mai un lavoro… è perché non ne ha le capacità. Certo, anch’io in certi
momenti ho perso la pazienza e ho corso il rischio di essere licenziato. Ma ho
lottato con tutte le forze per non perdere il mio posto e per evitare guai alla
mia famiglia. Questi disgraziati, questi inetti, debosciati non hanno voglia di
far niente e finiscono a drogarsi nei centri sociali!”. Martino, pur accecato dalla
rabbia, si rese conto di avere esagerato e di avere detto cose in cui non
credeva: nella sua esperienza terrestre aveva capito chiaramente da un pezzo
come la cosiddetta meritocrazia fosse sempre una scusa accampata dai potenti
per giustificare l’oppressione dei deboli e che, nella realtà, si traduceva
sempre nella premiazione degli amici, non dei più meritevoli. Si accorse di essere
sudato e abbassò un poco la cerniera della tuta. La cintura di microrazzi gli
sembrò troppo stretta. Tentò di allargarla ma non seppe farlo. Carsidia lo
aiutò. “Beh - riprese Martino –
forse non hai tutti i torti. In un certo senso esiste… o esisteva ancora una
forma di schiavismo sulla terra”. Gli venne in mente che non
sapeva se l’umanità fosse ancora in vita sulla terra. “Certamente – disse Carsidia
- nei millenni della vostra civiltà qualche voce isolata ha cercato di avviare
un progresso di pensiero, ma questo progresso è troppo lento. A noi, dal nostro
punto di vista, sembra che si fa qualche passo in avanti e poi si torna
indietro. E non si arriva mai ad abbattere i pregiudizi che vi portano a
perpetuare le divisioni. E così non riuscite mai a essere veramente liberi
dalla voglia di opprimere, di ingannare, di tormentare gli altri. E questo
porta sempre alla stessa inevitabile conclusione: voi soffrite anche più delle
vostre stesse vittime”. Martino, ormai, era stanco
di queste chiacchiere. Guardò fuori. Le cime degli alberi, lì intorno,
sembravano impazzite. In alto grandi nuvole scure si erano addensate. “Andiamo – disse Carsidia –
rientriamo alla base. Per oggi ne abbiamo abbastanza”. |