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Il veterano di Usenet (1)

Pigiando alacremente sui tasti della tastiera, Rodolfo A. scrisse:
“[OT] Proprio oggi otto anni fa...
Otto anni fa, di questi tempi, mandavo il mio primo messaggio a questo Newsgroup che allora era dedicato al Sistema Operativo piu’ famoso del mondo. Allora non ero esperto ma gia’ prendevo parte attivamente alle discussioni tecniche del gruppo. Ed ora eccomi qua ancora ad occuparmi degli stessi argomenti, mentre il mondo va avanti… Sto invecchiando. Sto invecchiando…”.
Erano le 11 e 24 del 31 gennaio. La nebbia si stava alzando sulla piazza delle Palafitte nel cuore della vecchia Milano. Il finestrone dell’ufficio al decimo piano andava illuminandosi di un pallido albore: l’alba di mezzogiorno. Rodolfo si alzò e uscì nel corridoio per raggiungere la macchinetta del caffè. C’erano già Salomone e Gisella, come al solito a quell’ora. Lo salutarono e offrirono anche a lui un bicchierino di plastica pieno di liquido scuro. La brodaglia aveva un sapore acidulo e troppo dolce. Conversarono allegramente, sorseggiando il caffè, e, come sempre, parlarono del tempo. Il tempo che cambia. Il tempo incomprensibile. Il tempo imprevedibile e sempre diverso, se non opposto a quello che si aspetta. Il tempo che mai era stato così dannato. Nevicava già sul Resegone? Nevicava... Ma che interessa il tempo a gente che vive inscatolata in un factory building (2) di 15 piani dotato delle più  moderne apparecchiature di  climatizzazione? Beh, può interessare per il week end, naturalmente. Quando arrivarono altri clienti della pestifera macchinetta ammaccata dai calci di più d'una generazione di impazienti, loro si allontanarono, e ognuno tornò al suo loculo… ok, alla sua scrivania, a scaldare la sedia. I computer e il software, naturalmente, erano dell'ultima generazione. Le macchinette del caffè, le scrivanie e le sedie no.
Appena arrivò nella sua stanza, Rodolfo buttò il bicchierino sporco nel cestino, riagguantò il suo mouse e andò a vedere se sul Newsgroup c’erano messaggi nuovi. C’erano. E qualcuno gli aveva risposto:
“Beh, allora auguroni, Rodolfo! Quando hai cominciato tu, io non sapevo cliccare, ne’ digitare, ne’ postare messaggi e nemmeno aprire una finestra.
Enzo”.
Aprire una finestra del Sistema delle finestre, s’intende. E “postare” vuol dire “scrivere il messaggio con le dovute maniere e mandarlo al Newgroup in modo che tutti lo possano leggere, se vogliono”. Rodolfo guardò ancora la finestra dell’ufficio. Avendo un paio di ali poteva uscire di là.
Quante avventure in quegli otto anni nella rete, quante grida soffocate dal ronzio della ventola, quante richieste d'aiuto urgente, quanti problemi vaghi e concreti accarezzati e affrontati con decisione, quante risposte vane e quante risolutive... Per Rodolfo, ragazzo studioso, poi esperto dei piccoli e grandi segreti che il prezioso e paranoico-schizofrenico Sistema Operativo serbava nel suo seno, la rete globale e il Newsgroup dedicato agli argomenti da lui preferiti era un mondo attraente e meraviglioso.
Pigiando ancora alacremente sui tasti della tastiera, Rodolfo scrisse:
“Allora, Enzo, se hai cominciato da zero, tu sei stato piu’ bravo di me...”.
Ma, mentre il messaggio partiva, Rodolfo pensava: “Otto anni anche per lui? Non mi pare  di aver visto suoi messaggi da più di due mesi! Ah già, non ha detto di averli passati tutti qui questi otto anni. Forse io solo sono stato capace di tanto! E nessuno mi paga per questo”.
Per la verità la Casa Madre tollerava appena l'interesse di Rodolfo al Newsgroup del vecchio Sistema. Rodolfo spesso arrivava tardi in ufficio, qualche volta senza cravatta e senza valigetta d'ordinanza; non accettava le trasferte per l'education e frequentava di mala voglia le riunioni del venerdì. Tuttavia il capo del personale aveva deciso di non intervenire con richiami, perché le statistiche parlavano chiaro: i clienti del vecchio Sistema erano ancora molti, ad onta di tutti gli stratagemmi aziendali messi in atto per convincere la gente ad abbandonare il vecchio per comprare il nuovo. L'opera di Rodolfo era ancora utile per il momento, e, dopo, la Casa Madre avrebbe trovato il modo di convincerlo a rinnovarsi e a penetrare i nuovi segreti da vendere al pubblico della rete mondiale. Eh, sì, spesso si vendono segreti, oggetti misteriosi, di natura occulta, noti solo a pochi iniziati e a taluni ricercatori appassionati che, con sforzi erculei, riescono talvolta a decifrarli.
Dopo dieci minuti di silenzio, Rodolfo pescò un altro messaggio. Questo non si riferiva al suo ultimo intervento ma al primo.
“Allora, come succede ai compleanni, brindiamo al tempo che se ne va.
 Pietro”.
E Rodolfo, pigiando ancora alacremente sui tasti, rispose:
“Brindiamo, hai ragione. E gli anni me li sento addosso proprio come ai compleanni”.
E proprio mentre lo mandava, ecco un nuovo messaggio apparire:
“No, Rodolfo, e’ difficile superare il maestro. Tu forse non lo sai ma sei stato il mio maestro, almeno in questo campo, anche se so che ci sono ben altri campi per te…
Enzo”.
“A quali campi si riferisce?” pensò Rodolfo. Ma il messaggio precedente non gli era passato di mente. Un po’ di amaro gli restava in bocca. E non sembrava più quello dell’orribile caffè.
Il tempo se ne va per tutti. Si è fatto tutto il dovuto? Resta tempo per qualche altro progetto? E quali sono i campi a cui Enzo si riferisce? L’informatica non è un campo, ma una serie di campi svariati. Eppure tutti si riconducono a uno solo: la scienza o la pseudo-scienza del computer. Rodolfo era innamorato del computer, quasi come della sua fidanzata, o forse di più. E’ una cosa pazzesca. Come ci si può innamorare di un computer? Il computer non è che uno strumento. L’automobile è notoriamente un utero simbolico, ma il computer che cos’è? E’ come innamorarsi di uno schiaccianoci: evento quanto mai pericoloso che può condurre spesso all’indigestione da noci o da altri frutti muniti di guscio duro, come… le chele di aragosta o di granchio. L’uso prolungato e intensivo di schiaccianoci è nocivo alla salute, a cui dobbiamo pensare per consiglio della presidenza del consiglio, senza abusare di farmaci comunque dannosi.
Una celebre vignetta analizza le numerose analogie tra un computer e un water. Ma si può amare un water? Sì, come via di concentrazione, in un luogo di pace e di lettura.
E un cavatappi? Non è facile amare un cavatappi. Non lo era neppure qualche anno fa. Ma oggi l’odio per questi strumenti, sempre più sofisticati, è molto più diffuso, anche perché i tappi sono quasi tutti di plastica e lunghi fino a dieci centimetri: tappi da cavare a tappe.
“Ma ci sono veramente ben altri campi…” pensava Rodolfo. E si riferiva ai suoi campi da pesca, dove usava misurarsi, nei week end, con astutissimi pesci invisibili, nascosti nelle acque scure dei laghi e del mare o in quelle chiare dei torrenti. Là sì, si divertiva e si godeva la pace di luoghi talvolta sufficientemente solitari e scarsamente inquinati, insieme alla fidanzata, Mariella, anche lei appassionata di pesca. Bello e piacevole incontrarsi e condividere una passione. Si litiga spesso, sì, ma la passione si rafforza.
Più che una passione, di questi tempi, la pesca nelle acque italiane è una mania, un’ostinazione insensata. Ma Rodolfo e Mariella, il giorno che accidentalmente tiravano a riva un pesce, subito lo fotografavano e lo rigettavano nel lago sporco, nel fiume inquinato o nel mare - il mare magno delle immondizie italiane - portando a casa solo una minuscola registrazione nella macchinetta digitale, una microscopica invisibile impressione magnetica che sarebbe risuscitata nell’hard disk e, quasi, si sarebbe rimessa a nuotare, con pinne e squame più scintillanti che nelle acque opache di origine, sullo schermo del loro computer e su quello di tutti gli amici collegati in rete. Il pesce, per un pescatore, è un’apparizione magica, una ninfa delle acque, una venere nata dalla schiuma: un sogno che, come tutta la natura, potrebbe stare sugli schermi. Non c'è solo la realtà virtuale, ormai superata. Ora c'è quella rafforzata, aumentata, ancora più reale e, insieme, perfettamente virtuale. Ci si può sinceramente chiedere se sia ancora  necessaria la natura semplicemente reale e, come taluni sostengono, se non sia un attentato all'umanità volere investire l’energia che gli ambientalisti reclamano per conservare vecchie specie vegetali e animali, al solo fine di strapparle al loro umano utilizzo per fini industriali e farmacologici. Non esistono, ormai, metodi più moderni e meno impegnativi per trovare un equilibrio nel sistema Terra? In fondo, la natura non è che un fremito, un frullo d'ali improvviso, uno scintillio di acqua o di fronde arboree, un profumo di fiori o un fetore di radici marce o di funghi. Basterà solo che, oltre alle immagini, alle sequenze di immagini in movimento e ai suoni, nelle memorie del computer possano conservarsi anche gli odori... E i sapori?... Il sapore dei frutti selvatici, delle erbe, delle radici; il sapore del crescione raccolto presso le rive di fiumicelli freschi e limpidi o quello del corbezzolo trovato per miracolo in uno degli ultimi boschetti italiani...
Un'altra vignetta celeberrima raffigura l'evoluzione dell'uomo che, da pitecantropo ancora curvo e vacillante, raggiunge gradatamente la stazione eretta e poi torna a curvarsi di fronte al suo personal computer. In realtà la condizione di questo uomo, così intento a muovere il mouse, con o senza filo, e a battere i tasti della tastiera, non è molto dissimile dalla scimmietta che il padrone ha legato all'organetto per costringerla a suonare continuamente, girando una manovella...
Riprendendo a pigiare alacremente sui tasti qua e là consumati della sua tastiera, Rodolfo scrisse:
“Ne e' passata di gente di qua. Ricordo Pamela, Bruto Inverno, Carciofo dal tubo, Pangolino, che ora non vedo più. Chissa' che fine hanno fatto e se si ricordano di noi?”.
Ogni messaggio è un messaggio in bottiglia. Non ci si spera molto, ma si tenta. Qualcuno potrebbe intercettarlo e rispondere. Forse anche qualche fantasma ormai lontano potrebbe riemergere. Bruto, Pamela, che cosa erano? Che personaggi, che ruolo avevano in quella nuvola-sciame di comunicati brevi e densi di significato, che sono l'essenza di ogni newsgroup? Lui poi li aveva conosciuti di persona. Ecco, là, in via dei Passeri, in quell'altro grattacielo nano: lavoravano là. Fino a cinque anni prima ancora si incontravano, al bar, al ristorante, perfino a qualche riunione interaziendale. Avevano scambiato molte parole, avevano simpatizzato e quasi fraternizzato. Si erano ritrovati insieme in qualche tafferuglio, qualche discussione aspra per le strade di Milano. Erano anche andati a certe manifestazioni di piazza. Che tempi! Si respirava ancora in quelle strade. Ora le madri protestano perché i bambini non respirano più e hanno l’asma bronchiale. La gente era vivace, sveglia, decisa a vivere e ad accrescere insieme il grado della loro civiltà. Portavano cartelli, gridavano slogan, inveivano contro i governanti. Loro, forse, lo facevano per quella fede precisa e non meditata che alligna nei giovani generosi ed anche un po’ per goliardia, per ridere degli altri e di se stessi e per odio ad ogni sopraffazione. Ma almeno si viveva, si pensava, si sognava. Ora sembra tutto morto. E quella vivacità non è più considerata segno di civiltà. La precarietà sì.
Ma Pamela e Bruto che fine hanno fatto? E Pangolino? Carciofo dal tubo? Meravigliosi pseudonimi di espertissimi cultori del vecchio sistema! Anche più di Rodolfo. Quattro o cinque anni fa sono spariti. Non hanno più risposto alle richieste di tanti niubbi. (3)
Ma guarda là! Non è possibile. Un messaggio di Pangolino:
“Caro Enzo,…”
“Come ‘caro Enzo’? Sono io che ho scritto l’ultimo messaggio. Sono io che ti cerco…”.
“Caro Enzo,
anch’io sono sempre qua. Ma ti giuro che mi sento ancora come Alice nel paese delle meraviglie.
Pangolino”
“Ma… è lui? Che sia un nuovo Pangolino, un clone? Quello che conosco io non ha mai espresso un dubbio. Non ha mai partecipato a un OT. Ha sempre risposto a tono sinteticamente, con compostezza e precisione. Che ha a che fare con Alice?” pensava Rodolfo.
“Anch’io! Anch’io!” rispose poi pigiando i tasti freneticamente.
Io sì, sono Alice nel paese delle meraviglie, voleva dire.
Sentì qualcosa che lo solleticava sulla fronte. Era una goccia di sudore. Aveva la febbre? No, era sicuramente il condizionatore: freddissimo d’estate e bollente d’inverno. Corse ad abbassare il termostato. Poi tornò al suo posto e, pestando freneticamente i tasti, scrisse:
“Pangolino! Che fine hai fatto? E’ un secolo che non ti vedo piu’ qui! E Carciofo? Bruto Inverno? Pamela? Sento terribilmente la vostra mancanza. Pamelaaaa! Brutoooo! Dove siete?
Rodolfo”.
Nuvola e sciame. Nuvola fosca come nebbia che s’allarga sulla terra e sale, sale. Sciame d’insetti o di robot che, sbattendo le ali ognuno per conto suo, uniscono gli sforzi e costruiscono un nuovo mondo. Che sono questi nomignoli? Che dicono? Ha qualche senso questo vaniloquio? Parlano di oggetti sempre più complessi e che più di tre anni non durano, non riescono a durare: i loro autori non vogliono che durino perché devono vendere di nuovo. Vendono le stesse cose abbellite, riciclate, complicate, imbiancate, come nuove. Che si possono inventare? Vendono uno strumento per scrivere. Scrivere nero su bianco? No, tutti i colori che vuoi, in riquadri, in tabelle, con suggerimenti, indici automatici. Una cosa per fare i conti? Sì, ma che conti! Conti automatici, ingranditi, rimpiccioliti, in formato scientifico, contabile, data, ora, percentuale, frazione. Uno strumento grafico? Ma ci puoi ritoccare le foto, metterci la cornice, cambiare i colori, il contrasto, la luce, puoi unire più immagini, ritagliarle, ingrandirle, ridurle, ruotarle, schiarirle, vivificarle. E tutto si può stampare su stampanti munite di cartucce che durano, sì e no, una settimana…
Non c’entra. Non c’entra. Quello che serve, serve. Ma qui ci vogliono altro che tre anni per afferrare le novità, le difficoltà, le funzioni particolari, soprattutto i comportamenti anomali, i tradimenti a principi inventati e sbandierati dagli stessi costruttori-venditori: quello che vedi sullo schermo è proprio quello che c’è. ROTFL… (4).
Puoi anche arrivare a sviscerare tutto, ma dopo tre anni non serve più. Devi buttare tutto e ricominciare da capo. Lo so. Lo so. Non è proprio così. E’ evidente. Alla fine scopri che tutto è come prima. E magari c’è anche qualche miglioramento. Ma perché queste migliaia di linguaggi diversi e simili tra loro? Lasciatemi scegliere e poi lasciatemi in pace. Non costringetemi a cambiare solo per non dover concludere nulla e dovere occuparmi di altro invece che dei miei problemi reali o virtuali.
Intanto Rodolfo aveva distolto lo sguardo dallo schermo, attratto dalla maggiore luce della finestra, su cui ormai il sole batteva decisamente. Ormai mancava poco all’ora del lunch. Ma che cos’è quel pezzo di calcinaccio? Rodolfo si alzò incuriosito e andò a vedere. Sull’angolo alto di destra della finestra vide un nido di calabroni. Doveva essere lì dall’autunno, ma, fino a quel momento, lui non l’aveva notato. Vediamo.
Prese una sedia, aprì il finestrone, salì sulla sedia e poi sul parapetto. Allungò il braccio ma non ci arrivava. Abbassò lo sguardo e vide la gente in strada. Fu preso da un brevissimo attacco di vertigine e si aggrappò tenacemente all’imposta. Ma guarda che buffi gli esseri umani visti dall’alto. Sono bestioline, formiche, pecore o lepri con solo due zampacce. Si ricordò dei cinesi di Pechino che aveva visto nel 1990 dalla finestra del quindicesimo piano del suo albergo. Una fiumana di uomini e donne a piedi e in bicicletta, o con tricicli pieni di merci variopinte. Dall’alto non si vedono le espressioni, ma si indovinano quando i camminatori si voltano a parlare e sorridere ai compagni di strada. Al centro di Milano i ciclisti sono rari. A quell’ora si vedono solo poche persone frettolose e imbacuccate dirette alle tavole calde. Niente di simile alle folle sterminate di Pechino. Quelli mangiano nelle strade davanti a bancarelle dove si vendono focacce, spaghetti e spiedini. Poi continuano il viaggio, a piedi o in bicicletta. La frutta, fuori dagli alberghi, è difficile da trovare. A volte vanno in tram.
Ora molto è cambiato, dopo quindici anni. Fingevano di essere comunisti, ma hanno agito da grandi capitalisti e hanno vinto. Noi, invece, continuiamo a fingere di essere capitalisti e di credere nel libero mercato, ma oggi vorremmo una grande muraglia che arginasse l’avanzata dei ‘barbari’. Vinceranno loro. Mangiando, bevendo e sorridendo per tutte le strade, stanno continuando la grande marcia, forse, sempre seguendo gli insegnamenti di Mao.
La porta si spalancò e Gisella gridò terrorizzata. L’urlo fece rizzare a Rodolfo i pochi capelli che gli erano rimasti. Per poco non cadde di sotto.
“Ma che cavolo urli?” disse saltando giù dal parapetto “Stavo cercando di prendere quel nido di calabroni. Guarda là. Forse ci sono le larve, dentro”.
Poi, tornando al suo tavolo “Fammi vedere se qualcuno ha scritto, poi andiamo, aspetta”.
“Oddio” fece Gisella riprendendosi a stento “Credevo che volessi ammazzarti. M’hai fatto prendere un colpo. Sei pazzo a salire sul parapetto? Sai come si vola giù a capofitto? Sei mica un calabrone tu!”.
Entrò anche Salomone. “Ma chiudi quella finestra e vieni di corsa, che ci mangiano tutta la polenta”.
“Un momento che chiudo. Tanto nessuno più risponde a quest’ora. Tutti a mangiare, a Milano e dintorni”.
Quando furono usciti dal portone l’aria gelida li fece rabbrividire. Si avviarono insieme verso la tavola calda.
“Bruto Inverno, Pamela…” disse tra sé Rodolfo.
Gisella lo guardò, continuando a camminare.
“Ohé, ma stai dando i numeri? Lo so che è un brutto inverno, ma chi è ‘sta Pamela?”.
Rodolfo si fermò, e gli altri due furono costretti ad aspettarlo.
“Le cose sono sempre più semplici di quanto generalmente si pensi” disse Rodolfo con aria ispirata “O si fa qualcosa di utile per tutti, senza eccezioni e senza favoritismi, o si fa solo un bordello!”. Poi si avviò pensando alla polenta, alle salsicce e al buon Barbera, e gli altri due lo seguirono trascurando ogni futile perplessità passeggera.
 
mic.dang@ilgiardinodelgranchio.it

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