Il tram n. 22 e la circolare nera |
Marzo 1944. Questo, in Italia, era il periodo più pericoloso per la popolazione maschile. I tedeschi, affiancati dai fascisti, andavano in giro a rastrellare, nei paesi e nelle città, gli uomini validi, per deportarli, o per costringerli alla cooperazione militare nei punti strategici, al fine di rinforzare le postazioni di difesa della costa laziale, dopo lo sbarco delle forze alleate nei pressi di Anzio. Una mattina, una delle tante, mio padre ed io ci stavamo recando alla stazione Termini con il 22, un tram composto da motrice e rimorchio. Contavamo di scendere alla piramide Cestia, nei pressi della stazione “Ostia Lido”, per poi salire sulla circolare nera diretta alla stazione Termini, dove avevamo l’abitudine di acquistare le sigarette, che ci servivano per barattarle con il pane di segala dei tedeschi, nella zona e nei campi della via Ardeatina. I presidi dei tedeschi erano disseminati presso tutti i casali abbandonati dagli agricoltori. O meglio, gli agricoltori venivano fatti sloggiare per “motivi logistici” – dicevano - per la “difesa di ROMA”. Come ci fummo seduti, mentre stavamo conversando, nel tratto in cui il tram costeggia il Colosseo, il tram fu fermato dai tedeschi, per l'esattezza da una pattuglia composta da due tedeschi e quattro fascisti. Era il momento che tutti temevano, ben sapendo che tutti gli uomini idonei, scelti dai fascisti per ordine dei tedeschi, sarebbero stati inviati ai campi di lavoro o a rinforzare le fortificazioni per contrastare le forze alleate sbarcate ad Anzio. Mio padre aveva 44 anni, ma i suoi capelli erano completamente bianchi, e questo fu il motivo della sua salvezza. Quando il fascista lo invitò a scendere dalla vettura, mio padre, che parlava correttamente la lingua tedesca, si rivolse loro nella loro lingua dicendo che lui era vecchio, che i suoi capelli erano tutti bianchi. Il tedesco gli rispose che poteva restare seduto, ma il fascista disse in malo modo: “DEVI DA SCENNE!”. Mio padre disse in lingua tedesca: “Chi comanda qui? Cosa debbo fare?”. E il tedesco: “Stia seduto e mi dica cosa ha detto il fascista”. Mio padre abbassò gli occhi. Il tedesco disse: “Buon giorno”. E scese dalla vettura con tutta la squadra. E, mentre il tram riprendeva la sua corsa, i fascisti, armi in pugno, inquadrarono gli uomini che avevano fatto scendere e si avviarono chissà per quale destinazione. Anche quel giorno mio padre se la cavò per la conoscenza della lingua tedesca che anch'io capivo poiché, durante i percorsi sia in tram che a piedi, mio padre mi insegnava delle frasi per essere in grado di chiedere lo scambio delle sigarette con pane e, quando possibile, con altri generi alimentari che i tedeschi volevano barattare. L'episodio ci fece riflettere e ci indusse ad essere più prudenti, nei giorni successivi, ed evitare i mezzi di trasporto che rappresentavano una vera e propria minaccia per la nostra incolumità. Lo spavento non era passato, perciò decidemmo di percorrere le strade sempre a piedi, le nostre giornate divennero col tempo molto faticose. Anche se camminare a piedi comportava dei pericoli ciò non si poteva evitare. Ogni giorno dovevamo andare alla stazione Termini per poi ritornare sulla via Ardeatina a compiere il nostro lavoro quotidiano (tra virgolette) . Le lezioni della lingua tedesca aiutavano di più e meglio il trascorrere del tempo per arrivare nei luoghi dove, se avevamo fortuna, potevamo raccogliere la fava e ricevere pane di segala dietro l'offerta di sigarette. Il caldo era sempre più soffocante, non pioveva da molto temo, la gente era rassegnata e spesso si vedevano lungo le strade persone incapaci di una qualunque reazione. Sembravano fantasmi con gli occhi stralunati, pieni di stracci sporchi e laceri. Molti soccombevano agli stenti e i cadaveri restavano abbandonati nelle strade per molti giorni. I beccamorti dovevano aspettare il permesso del comando tedesco e del commissario delle forze di polizia nonché di coloro che stilavano i verbali dei documenti trovati nelle tasche dei cadaveri. Il degrado della città era totale. Tutti erano in attesa delle forze di liberazione che non davano segni di vita ma erano stanziati da mesi nei pressi di Anzio e lungo tutte le coste laziali. Io ero sempre molto triste per l'assenza di mia madre che ci aveva abbandonati per punire mio padre non so di quali colpe e si era rifugiata presso una delle sue sorelle. Lui fu costretto, suo malgrado, a mettere la vita a repentaglio e rischiare di essere deportato in Germania, mentre la maggior parte degli uomini stavano nascosti in posti sicuri nelle cantine o altre strutture, protetti dai familiari. Purtroppo in tale situazione fui coinvolto anch'io nei pericoli quotidiani ai quali era esposto mio padre. Anche quel giorno passo dopo passo arrivammo per così dire a destinazione, ma era sempre più duro arrivare alla fine della giornata portando a casa vivande e soprattutto la pelle, alla quale ora dopo ora davamo sempre meno importanza. |