PERCHÉ SWAMI NEEL KAMAL?
Quando arrivò la notizia che era morta la direttrice del Mandala Yoga Ashram, si sbriciolarono tutte le certezze sull’importanza di un sano stile di vita. Swami Neel Kamal (loto azzurro), cinquantenne, conosciuta e amata da migliaia di praticanti di yoga, era morta di cancro ai polmoni. Non aveva mai fumato, viveva e insegnava da anni tra le verdi colline del Galles meridionale.
Non sarà l’orto biologico a salvarti, e nemmeno l’aria della campagna. E non ti ucciderà necessariamente la chemioterapia: swami Neel Kamal l’aveva rifiutata. Forse la sua costituzione robusta non era fatta per la dieta vegana, forse dietro quel sorriso radioso si celava un conflitto vissuto in solitudine, forse era stanca di lavorare 12 ore al giorno, forse, forse, forse…
E’ dal 2001 che rifletto sulla morte di swami Neel Kamal, mi scuserete perciò se questa volta le mie riflessioni occupano più spazio del solito.
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URM (Ufficio Relazioni con le Malattie)
Su molte cose abbiamo potere. La lista delle conquiste del progresso, dalla microchirurgia alla bomba H, si allunga continuamente. Ne siamo fieri e speriamo che la scienza ci conduca un giorno al benessere e alla felicità di tutti. Noi persone comuni, purtroppo, non capiamo niente di scienza, quell'attività misteriosa che si svolge nei laboratori di università misteriose, da cui ci giungono attraverso i media echi di fanfare.
Su molte cose noi mortali, scienziati compresi, non abbiamo potere. I pensieri ci possono tenere svegli tutta la notte; se un motivetto ci si inchioda in testa, non schioda più. Le opinioni fluttuano con le esagerazioni mediatiche, le emozioni ci travolgono; torte e gelati ci saltano in bocca da soli; smettere di fumare, bere o fare acquisti inutili è più difficile che lanciarsi col paracadute da diecimila metri. Chi nasce quadrato non muore rotondo, le malattie semplicemente vengono.
Perché vengono? Se ci fosse una risposta valida per tutti, non avremmo la possibilità di scoprire, o creare, nuove risposte che possano farci sperare, guarire o addirittura oltrepassare il concetto di malattia. In genere non cerchiamo risposte diverse da quelle che diamo per scontate: freddo, microbi, errore genetico, età, predisposizione, inquinamento, un cattivo stile di vita o il famoso “stress”. Ma non sempre chi prende freddo prende il raffreddore; a volte fumatori stressati e mangiatori di schifezze campano cent'anni mentre sportivi e salutisti vengono stroncati prematuramente da un infarto. Giobbe ci consola e riconferma nella convinzione che la malattia sia qualcosa di esterno a noi, che ci cade in testa se Dio lo permette. Smettere di fumare e limitare l'assunzione di soffritti può ridurre la probabilità ma non eliminare la possibilità che le malattie vengano. E quando vengono bisogna schierarsi e combatterle, agli ordini dei camici bianchi. Il nostro rapporto con la malattia, come tanti altri nostri rapporti, è una guerra.
Non saranno gli spilungoni dei laboratori di Harvard a cambiare la situazione. Quei cervelli superdotati condividono con noi l’atteggiamento bellicoso e non hanno bisogno di risposte diverse da quelle che gli fruttano finanziamenti e onori, perciò continueranno a sviscerare fino all’ultima molecola le cause che anche loro danno per scontate (virus, età, etc.) e le possibili strategie per combatterne gli effetti.
Il mio campo di indagine non sono le molecole ma le parole – quelle che convincono, costruiscono e distruggono, perciò comincio sempre dalle parole e vado sempre a finire alle parole. E che cosa non comincia dalle parole? In principio era il verbo, notoriamente una parola, e attraverso la parola il nostro mondo prende una forma intelligibile. Il nostro ambiente, molecole comprese, e noi stessi siamo fatti di parole. Senza una dichiarazione scritta della nostra esistenza non potremmo nemmeno esistere, e di quante certificazioni abbiamo bisogno! Veniamo dichiarati vivi, morti, eredi, invalidi, marito e moglie, membri, soci, in arresto, in libertà, in guerra... E con una diagnosi veniamo dichiarati malati.
Malattia e medicina sono termini accoppiati che abbiamo succhiato con il latte materno, l'uno implica l'altro; li usiamo senza pensarci e perciò non è facile metterli a fuoco.
La malattia è qualcosa di malefico che ci viene e noi prendiamo, non per nostra volontà.
Può rappresentare un errore della natura, un nemico che ci aggredisce, una punizione divina o un segnale di debolezza – e infatti molti malati si vergognano di esserlo e non ne vogliono parlare.
Per medicina si intende un’area del sapere che indaga sulle malattie e cerca di trovare la medicina (farmaco) per eliminarle, o almeno per ridurne i sintomi. La medicina è anche un'istituzione ormai potente, e, come tutte le istituzioni, ha come fine ultimo la conservazione e l’accrescimento di se stessa. Lo scopo dichiarato, cioè il mezzo per raggiungere il fine, è la guerra contro le malattie. Come su un campo di battaglia, né medici né pazienti si fermano a domandare le generalità al presunto nemico o a chiedergli che cosa desideri. Intravedono e sparano, perché non spari il nemico per primo. Noi veniamo in contatto con la medicina quando ci sentiamo male, quando pensiamo di stare male oppure quando la medicina stessa, in seguito a un test diagnostico qualsiasi, ci dice che siamo malati, in presenza o in assenza di sintomi.
Chi prende una malattia affida ai medici, almeno inizialmente, la gestione dell'URM (Ufficio Relazioni con le Malattie). Lo fa anche chi non si fida dei camici bianchi, non immaginando alternative. C'è chi esige la pillola magica che gli tolga subito il fastidio, chi si mette pazientemente nelle mani dei dottori e in quelle di Dio, sperando che a forza di pillole il problema si risolva, e chi chiede il miracolo dopo aver constatato che i medici vanno per tentativi, come ammettono loro stessi (se onesti).
Una nevralgia che con una determinata cura non mostra di migliorare, lo fa invece con una totalmente diversa, e questa stessa cura che è servita in un caso rimane senza risultati in un caso analogo (...) Innumerevoli fattori sono da annoverare (...). Essi non formano insieme alcun chiaro sistema (...) Nel decorso di una malattia è presente qualcosa di imprevedibile, e appartiene all'essenza delle malattie che questo qualcosa sia presente.
(Viktor von Weizsäcker 1926(1)
p. 109)
In caso di fallimento delle cure i malati se la prendono con i medici o con i santi per non averli guariti.
C'è poi chi si rassegna in partenza: di qualcosa bisogna pur morire. L’idea che si possa morire sani, semplicemente di vecchiaia, è strana e remota. Fra noi e la morte si interpongono sempre o un incidente e un pronto soccorso oppure malattia e medicina. In tutti i casi il male non ha un significato o uno scopo e l'esito non è nelle mani del malato.
Un altro atteggiamento, più moderno, è questo: “È un fatto nervoso, è psicosomatico, è lo stress. Devo prendermi una vacanza e farmi le coccole.” In questo caso la malattia ha un significato, anche se vago, e il malato se ne assume in parte la responsabilità, ma spesso questo tipo di malattia è solo un insieme di sintomi che corrispondono tuttalpiù a un disturbo funzionale. Chi si senta colpito da sclerosi multipla o tumore al pancreas raramente dirà che il problema è psicosomatico, il più delle volte cercherà un responsabile su cui non ha potere: sostanze inquinanti, patrimonio genetico, virus, fumo, bevande alcoliche...
E ora facciamo marcia indietro per scoprire la madre di tutte le nostre malattie, che non vediamo perché ci viviamo dentro come pesci nell'acqua.
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L'AUTOIMMAGINE DELL' OCCIDENTE
In ogni cultura c'è un'autoimmagine collettiva, una vaga idea dell'essere umano e del suo mondo, che si va formando nei secoli come il letto di un fiume in cui si accumulano i detriti delle ideologie dominanti. Non si accumulano le idee originali ma quelle che hanno successo, in forma semplificata. Non sempre le idee nuove soppiantano le vecchie, a volte si depositano insieme.
L'autoimmagine collettiva corrisponde a quella che tutti, soprattutto i meno inclini a riflettere, semiconsapevolmente ritengono essere la natura e la condizione umana, e fa da sfondo ai pensieri e alle parole di ciascun individuo, indipendentemente dalle sue credenze politiche o religiose. L'autoimmagine determina la comprensione degli eventi e di conseguenza le nostre reazioni: è il paradigma interpretativo di cui ci serviamo. Trattandosi di una serie di postulati nascosti, non ha bisogno di essere presentabile e può alloggiare molte contraddizioni. Ne abbiamo vista una qui sopra: abbiamo potere (collettivamente) ma non abbiamo potere (come individui). Le contraddizioni si formano quando idee vecchie e nuove, o di provenienza diversa, sono attive contemporaneamente. E’ un bene poter scegliere un atteggiamento da un ricco guardaroba di atteggiamenti possibili per situazioni diverse, ma se le contraddizioni sono molto stridenti, le idee si confondono e ogni scelta diventa difficile. Normalmente l'autoimmagine rimane implicita come una tappezzeria poco vistosa alle pareti dell’inconscio, ma chi si accorga della sua esistenza può renderla esplicita (è quello che sto cercando di fare) e decidere se continuare a darla per scontata oppure no.
I tempi dell'autoimmagine collettiva sono quelli della lingua: in superficie acquisisce elementi nuovi, come il termine psicosomatica di cui sopra, in profondità resiste ai secoli; se non fosse così perderemmo l’orientamento. Non è strano che la nostra autoimmagine sia (quasi) ferma a una visione meccanica dell’universo, regolare e prevedibile come la vecchia pendola che suona anche se nessuno la guarda. Lentamente, il pensiero si raffina e sperimenta nuovi punti di vista, che forse non entreranno mai nell’autoimmagine. Nell’universo a pendolo la realtà è data e certa, ma un nuovo modo di vedere si affaccia alla storia e fa: “Cucù! La realtà è relativa all’occhio che la vede!”.
L’universo a cucù, che i ricercatori di professione chiamano con nomi più seri, riferiti alle sue varie manifestazioni (ad. esempio svolta linguistica in filosofia, psicologia e sociologia ovvero teoria dei quanti in fisica) è una rivoluzione copernicana del pensiero. La nuova visione del mondo comprende quella vecchia, ma la vecchia non comprende la nuova, perciò è difficile capire questo strano universo a cucù che appare se lo vedi, esiste se lo pensi, è conosciuto se ne parli. E quando lo vedi, lo pensi e ne parli ti accorgi che anche il pendolo è tale perché tutti pensano che lo sia.
Ma torniamo alla nostra vecchia autoimmagine. Eccovene due fotografie, scattate rispettivamente da Quasimodo e da Giorgio Gaber:
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera. (Ed è subito sera, 1942)
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l'uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza. (la Libertà, 1973)
Entrambe le immagini, apparentemente tanto diverse, compaiono nelle conversazioni quotidiane. Quando si parla di ingiustizie, malattie e morte, gli interlocutori sospirano: “Questa è la vita”. Solitudine e impotenza sono gli ingredienti della vita. L'essere umano, fondamentalmente egoista, è in balia di forze esterne: il destino oppure la volontà di Dio, che si conosce solo a cose fatte. Il motivo e lo scopo della vita sono ignoti. Qualsiasi sforzo per cambiare la situazione è vano.
La retorica del progresso scientifico e tecnologico, invece, sembra ottimista: il libero maschio si autodetermina con l'intelligenza, il progresso è prodotto da un coro di sforzi tutt'altro che inutili in vista della felicità futura (di chi?). Il denominatore comune fra la retorica del progresso e quella del depresso è un doppio assioma:
1) L'essere umano è isolato e contrapposto a un ambiente sentito come estraneo se non ostile: il raggio di sole lo trafigge e lui sfida la natura. Terra, sole, spazio e tempo non sono né i suoi genitori né la sua casa.
2) L'essere umano è un prodotto finito, il punto d'arrivo della creazione o dell'evoluzione. Ormai si evolve la scienza, non lo scienziato.
La scienza può fornire all'essere umano ali, ruote, radio, telescopi per allungare il tiro dei suoi sensi, ma non altri sensi per percepire altri mondi. Dio gli ha già fornito tutto il fornibile, lo ha fatto a propria immagine, non poteva far meglio. Il mondo è quello che vediamo con gli occhi o con strumenti ottici, non ce n’è un altro, a parte (forse) quello che conosceremo dopo morti. La religione costituita può fornirci una comunità di appartenenza, norme di comportamento e la convinzione di avere accesso al Paradiso: un ambiente amico dove resteremo per l'eternità suppergiù quello che siamo adesso, ma più giovani, sani e belli.
Scienza e religione sono autorità che godono di immenso prestigio. Il principio di autorità (“se lo dice X è vero”) esiste in tutto il mondo, ma il reato d'opinione, punibile con la morte, è una specialità del sacro romano impero, fondata sull'illazione che esista una sola verità, rivelata una tantum, detenuta, interpretata e insegnata da una sola istituzione, con diritto di vita e di morte su tutti in questa vita e nell'altra. Le conversioni forzate e le stragi di pagani, eretici e streghe, che hanno insanguinato mezzo mondo dall'epoca di Teodosio fino alle soglie del 1800, pesano ancora sulla nostra autoimmagine: siamo “peccatori” dalla nascita, incapaci di migliorarci da soli e bisognosi di perdono continuo e/o direttive precise da parte dei rappresentanti della verità.
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L'IO FRATTURATO
Non potendo insabbiare ogni nuova scoperta che smentisse la presunta verità rivelata, dopo Galileo la chiesa ha rinunciato al monopolio sul “mondo naturale”, profano limone da spremere per la progenie di Adamo. In fondo la religione costituita proclama un dio personale e trascendente, cioè separato dal mondo, seppure presente nel mondo. Gli scienziati furono lasciati liberi di investigare con i loro metodi le leggi della natura, purché si astenessero dal mettere il naso nelle “cose di Dio”.
Per un po' se ne astennero, mentre nella coscienza occidentale si approfondiva la frattura tra scienza e fede, materia e spirito, Dio e natura, res cogitans (pensiero) e res extensa (materia) come le descrisse Descartes. La contrapposizione, già presente nella filosofia greca, è diventata un abisso che taglia l'autoimmagine occidentale in due: la parte oggettiva e tangibile, il corpo, fa parte della natura “materiale”, densa e incosciente, oggetto della scienza empirica; la parte soggettiva e intangibile, chiamata mente, psiche, anima, spirito, con gran confusione di termini e concetti, fa parte del mondo “immateriale” gestito per secoli in esclusiva dalle chiese con più voglia di giudicare che di comprendere, e poi anche dai filosofi laici con il metodo dell'elucubrazione fine a se stessa. Come fanno tangibile e intangibile a comunicare? Descartes non seppe rispondere e la domanda rimase aperta.
Fra le persone che si ritengono moderne va ancora abbastanza di moda negare l'esistenza dell’intangibile: esiste solo materia, il resto è l'autoinganno dei neuroni. Ormai però la materia è considerata una specie di miraggio causato dal movimento dell’energia. L'energia nessuno l'ha mai vista, ma si può misurare, e, supponendo che sia incosciente come la materia, la consideriamo parte del mondo materiale. Oscurare uno dei due termini della contraddizione, però, non risolve il problema dell’io fratturato: rimane ostilità fra psiche e soma (corpo), conscio e inconscio, fede e scienza, ragione e sentimento, arte e matematica, liceo classico e liceo scientifico. L’intelletto che analizza i fenomeni e ne sintetizza un possibile schema generale è diventato nemico dell’intuito che percepisce e comunica al di sotto e al di sopra della razionalità. Separandosi, tutte queste capacità opposte diventano unilaterali, e chi si schieri a favore dell'una o dell'altra facilmente cadrà nel fanatismo.
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ANCORA AUTORITÀ
La fede religiosa, politica o sportiva, considera se stessa al di sopra della ragione, ribadisce i suoi articoli parola per parola senza stancarsene mai, propone fulgidi esempi, fa leva su emozioni e speranze, accetta senza verifiche l'inaccettabile e ne va fiera. L'autorità, superiore alla ragione anch'essa, per rimanere tale ed espandere i tentacoli deve rendersi indispensabile e proporre una fede, saldamente fondata sull’emotività dei sottoposti e sulla loro paura di rimanere senza guida.
In campo scientifico dogmi, fede e autorità non dovrebbero esistere. La scienza è un metodo, non un contenuto, un modo di procedere a rigor di logica, libero da emozioni e da obblighi verso qualsiasi autorità. La scienza produce teorie. Una teoria (da theorein, osservare) è un modo di vedere, cioè di collegare tra di loro una serie di fenomeni nell’ordine causale più plausibile. La teoria deve spiegare ciò che accade e, ove possibile, predire ciò che accadrà. Deve fondarsi su dati verificabili – in teoria – da chiunque; gli eventuali esperimenti devono essere replicabili. Una volta pubblicata su una rivista scientifica, la teoria viene esaminata dai colleghi dell'autore e, se molti la trovano convincente, la teoria si assesta, ma non per questo diventa verità rivelata, come crediamo noi comuni mortali abbagliati dai programmi divulgativi della TV. Gli stessi dati possono essere interpretati in modo diverso da persone diverse, in tempi e luoghi diversi, alla luce di ulteriori osservazioni, perciò le teorie scientifiche vanno sempre considerate
Ogni conclusione che, per paura di perdere certezze, prestigio o finanziamenti non si è più disposti a mettere in
discussione, diventa dogma. E infatti insieme al dogma sulla verginità di Maria abbiamo il dogma centrale della
biologia; gli epigoni di Darwin hanno trasformato in dogma la teoria evoluzionista, il complesso di Edipo è
considerato un dato di fatto. Nei libri di storia si continua a studiare l’agiografia del proprio paese, archeologi
e storici negano per principio l’esistenza di una civiltà tecnologicamente avanzata precedente la nostra,
nonostante i numerosi manufatti pre- o protostorici, dal coltello di ossidiana alla piramide, ovviamente non
realizzabili con mezzi primitivi, gli indizi geologici del “diluvio” avvenuto circa 12.000 anni fa
(2)
e i racconti apparentemente mitologici in cui si tramandano storie di “carri volanti” e di armi di distruzione di massa
(3).
La medicina non può evitare i dogmi perché per conservare se stessa ha bisogno della fiducia dei pazienti e della convinzione dei medici di essere nel giusto.
Incapaci di fare a meno dell'autorità e di accettare situazioni provvisorie, abbiamo sostituito il dio trascendente con la scienza inaccessibile, la chiesa con l'università di Harvard, il confessore con lo psicanalista, l'esorcista con il medico: nuove autorità indiscusse, nuovi poteri preposti alla conoscenza della verità e all'azione - ove possibile - sulla nostra salute e felicità. Siamo rimasti impotenti e irresponsabili come neonati e forse stiamo bene così.
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LA SCIENZA IRASCIBILE
Nel medioevo e dintorni la natura, sia nel senso di legge naturale che nel senso “ambiente-piante-animali” (fra cui ogni tanto noi donne), era guardata con sufficienza in nome dello spirito trascendente; oggi la scienza trascende al posto dello spirito e la natura continua ad essere guardata dall’alto in basso. L'evoluzione ci ha resi intelligenti? L'evoluzione è un fenomeno naturale ma noi continuiamo a sentirci superiori alla natura e la sfidiamo. Forse pensiamo che la natura si muova a caso mentre noi siamo guidati dalla forza incontrastata delle nostre sinapsi evolute per caso.
Insieme all’arroganza, il giudizio morale si è infiltrato nell'impassibile cittadella delle scienze: la lotta fra bene e male è migrata dalle battaglie dell'Apocalisse all'osservatorio astronomico e alla clinica oncologica, il diavolo è diventato un buco nero, un virus o un tumore maligno. Del cancro si parla sussurrando, come un tempo si parlava di Belzebù per non farlo comparire. Ci si vergogna di essere malati senza sapere bene perché: da qualche parte ci è rimasto il marchio d'infamia di una punizione divina. Vizi e virtù vengono attribuiti a molecole e cellule, ed ecco il gene egoista e l'eroico leucocita, il cavaliere bianco in lotta contro i patogeni aggressori.
Con diabolica pervicacia alcune cellule cancerose si staccano dal tessuto di cui facevano parte, viaggiano attraverso vasi linfatici e sanguigni, attraversano valvole cardiache e linfonodi, eludono il controllo delle sentinelle immunitarie, riacquistano la capacità di aderire a un tessuto e si impiantano in un organo diverso da quello di partenza fondando una mortale colonia: la metastasi. Hanno uno scopo: invadere l'intero organismo e distruggerlo. Proprio come facciamo noi con il nostro pianeta... Per quanto Superquark ci dica che nel sangue e nei vasi linfatici sono state trovate cellule tumorali, non ne possiamo concludere che il loro scopo sia fondare una colonia. Forse non hanno uno scopo, forse gli scienziati antropomorfizzano le cellule, cioè attribuiscono loro caratteristiche umane. L'antropomorfizzazione in biologia è un peccato mortale, ma è estremamente difficile non commetterlo. Contro l’internista R.G. Hamer, per aver affermato che la teoria della metastasi fa acqua
(4)
(e per altri motivi che vedremo dopo), si è scatenata una campagna diffamatoria senza quartiere. Non è la prima volta che degli scienziati si rivoltano come vipere contro chi metta in dubbio un dogma. Si sono rivoltati contro il neurologo Oliver Sacks per aver scosso il mito che l’ effetto dei farmaci sia prevedibile e uguale per tutti
(5)
, contro il matematico Martin Nowak per aver elevato la collaborazione al di sopra della competizione
(6)
, contro il tecnico di ricerca Gianpaolo Giuliani per aver messo in discussione l’imprevedibilità dei terremoti, contro l’oncologo Di Bella
(7)
per aver scoperto una terapia anticancro semplice e spesso più efficace di quella normalmente proposta (se non imposta) ai pazienti convenzionati. Il dottor Semmelweis, che nel 1846 a Vienna fece calare drasticamente la mortalità da febbre puerperale nel suo reparto chiedendo ai colleghi di lavarsi le mani prima di toccare le pazienti, fu licenziato, deriso ed emarginato e morì in manicomio.
(8)
Non è scientifico fare una questione personale di una teoria scientifica, chiudere gli occhi e le orecchie e lanciare accuse di ciarlataneria a priori, ma gli scienziati, che capiscono tutto, non capiscono se stessi.
E così, se da una parte abbiamo diviso ciò che era integro, dall'altra mescoliamo cose che volevamo tenere separate: scienza e autorità, intenzione e meccanismo, fredda razionalità e passioni violente. A giudicare dagli scienziati emotivi, dai medici malati, dai prelati corrotti e dagli psicoanalisti psicotici, né le autorità vecchie né le nuove hanno autorità su se stesse. D’altra parte all' autorità interessa dominare gli altri.
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NON CONOSCERE TE STESSO
La sola conoscenza che l'autoimmagine consideri attendibile si ottiene attraverso la scienza empirica, nata per occuparsi della res extensa inerte e incosciente e perciò conoscibile solo dall'esterno. Il miglior oggetto di conoscenza è il macchinario, che non ha esperienza di sé e le cui reazioni agli stimoli sono prevedibili e quantificabili. Per capire l'universo la scienza meccanicista
(9)
lo analizza come un macchinario. Con gli esseri viventi fa lo stesso, spesso con crudeltà camuffata da oggettività scientifica. Come possiamo capire noi stessi? Convincendoci che siamo anche noi macchinari, comprensibili dall'esterno. Osservandoci dall’interno non arriveremmo a risposte obiettive, abbastanza prevedibili e replicabili da risultare utili alla scienza (come continuiamo a immaginarla). Non esistendo un metodo impeccabilmente quantitativo per comprendere l'infinita sottigliezza dei fenomeni soggettivi, tanto vale fingere che siano irrilevanti.
Quindi, per capire la nostra res cogitans, o fingiamo che sia un macchinario, o la schiacciamo sotto i giudizi morali della religione istituita, o cerchiamo di raccapezzarci con le elucubrazioni a tavolino dei filosofi e i termini astrusi degli psicologi. Nessuno di questi strumenti aggancia l'esperienza di noi stessi che rimane, grezza e confusa, ai margini della coscienza.
Mi sai dire che cosa stai pensando? Sai ricostruire la catena associativa che ti ha portato al pensiero che ti circola in mente? Sai descrivere l'emozione che provi? Ricordi come sono cambiate le tue emozioni ultimamente? Emozioni, pensieri, idee appaiono e scompaiono come conigli dal cappello del signor Inconscio, di cui abbiamo sentito parlare con timore e tremore. Ma questo inconscio è “io” o è qualcun altro? Spesso ci sentiamo ostacolati nelle nostre decisioni, come se l’inconscio volesse una cosa diversa da quella che vuole l’io cosciente, ma che cosa vuole? E perché non lo dice chiaramente?
La mente salta giorno e notte di palo in frasca come una scimmia tormentata dai parassiti, e non c'è un cane che le metta un collare antipulci. Quando deraglia, diventa pascolo per
psicoterapeuti e psichiatri, nessun altro ci capisce niente.
Ora stai inspirando o espirando? In che posizione si trova la tua colonna vertebrale? Hai digerito l'ultimo pasto? Come si sente il mignolo del tuo piede sinistro? Di solito ci accorgiamo di una parte del corpo solo quando ci dà fastidio. Del corpo nella sua interezza, della sua mobile porzione di spazio, non ci accorgiamo mai: anche lui è un estraneo.
L' esperienza soggettiva del nostro corpo, anche quando c’è, non ha valore se non viene decifrata da medici, biologi ed esperti di discipline varie, esotiche e nostrane.
Molti pensano che oltre al corpo abbiamo un'anima come un palloncino ancorato ad un sasso con un filo. A chi ha un'anima vorrei chiedere: “E allora che cosa sei? E quest'anima che possiedi come se fosse un conto in banca, che cos'è? Dove la andresti a cercare se volessi farne esperienza?” Ma nemmeno l'anima è oggetto, tantomeno soggetto di esperienza per chi ce l'ha: è un articolo di fede. Delle anime si occupano i preti, non le anime stesse. Ma neppure i preti hanno esperienza del mondo intangibile, anzi, lievitando il prestigio della scienza empirica molti di loro hanno cominciato a vergognarsi di credere nell'esistenza di entità che non si vedono e per modernizzarsi sono diventati assistenti sociali con il colletto bianco.
In pratica non facciamo esperienza di noi stessi a nessun livello, e neppure immaginiamo che sia possibile fare questa esperienza e darle un senso.
La mancanza di una conoscenza pratica, sottile e sistematica della soggettività – quella conoscenza che il pensiero indiano ha sviluppato e raffinato millenni prima di Freud e Jung
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- fa di noi dei cavernicoli armati di bombe H.
Il pensiero orientale non ha tagliato in due il delicato continuum di stati di aggregazione fra spirito e materia, non ha isolato la capacità analitica da quella intuitiva e non si è separato dall'esperienza soggettiva, perciò ha raggiunto cime che per noi restano avvolte dalle nubi. E d'altra parte la tecnologia ce l'abbiamo noi. La forza della disperazione di un io spezzato ci ha fatto da propulsore fin sulla luna.
Per noi “Conosci te stesso” si traduce: “Ricordati che sei polvere”. Questa massima, ben radicata nell’autoimmagine, ci dice che non siamo niente, e la scienza meccanicistica è d'accordo. Comprensibilmente, preferiamo non pensarci e concentrarci su quello che abbiamo. Ci aggiriamo per i corridoi dell’io passando da una finestra all'altra e guardando sempre fuori. Cerchiamo di riempire con l’arroganza il vuoto che può sentire solo chi pensa di non avere dentro nient’altro che un macchinario di organi interni, e comprensibilmente vogliamo avere> sempre di più.
Alienazione è una parola inflazionata che una volta indicava l’espropriazione dei mezzi di produzione, ma qui stiamo peggio: la mente ha perso il corpo e il corpo ha perso la mente. La medicina si trova nel punto nevralgico della frattura tra corpo e mente, con il potere di farci considerare il nostro corpo un oggetto privo di soggettività, mosso esclusivamente da impulsi elettrici e reazioni chimiche controllabili. Effettivamente manovrando impulsi, reazioni e bombole di ossigeno si possono ottenere risultati brillanti, soprattutto in situazioni di emergenza. Il pronto soccorso è uno dei fiori all’occhiello della medicina occidentale; il rovescio della medaglia è che il corpo appartiene al personale sanitario dalla telefonata al 118 in poi; se i soccorsi tardano, per non avere guai con la legge è quasi meglio lasciar morire una persona che toccarla, mentre in ospedale, dove ci sarebbe bisogno di conforto, tranquillità e comprensione, si viene abbandonati in un angolo, sballottati come pacchi, rimproverati, esposti a luci accecanti e fracasso continuo, cateterizzati senza riguardi e se tutto va male si vedono i parenti solo un paio d’ore al giorno. La medicina a catena di montaggio ci espropria di tutto nel momento in cui siamo più deboli. Non lo fa con l’intenzione consapevole di farlo, almeno spero: viviamo in una società in cui nessuno ha se stesso. Anche il primario del policlinico Torquemada, se finisse in un ospedale dove non lo conoscono, verrebbe strapazzato da infermieri stanchi e frustrati che gli darebbero del tu e lo costringerebbero a fare la cacca nel pannolone. Non essendo in grado di gestire le proprie emozioni, proverebbe la stessa vergogna e la stessa disperazione di un paziente qualsiasi, avrebbe un tracollo di autostima e forse capirebbe la vita.
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AUTOSTIMA
E’ facilissimo perdere l’autostima, in un mondo in cui si è quello che si ha. Lavoro, amicizie, beni mobili e immobili, successo. Quanto siano fragili una casa, un negozio, una professione e (quasi) tutte le relazioni umane lo vediamo ogni giorno. Alluvioni, trombe d’aria e terremoti spazzano via vite e sogni, le persone su cui facciamo affidamento escono di testa all’improvviso o ci piantano in asso. Purtroppo chi perde l’autostima corre il rischio di perdere anche la salute, precipitando in un circolo vizioso da cui raramente si esce. In questi casi l’autorità ecclesiastica, nei panni ad esempio del televisivo don Matteo, ricorda anche ai più abbietti che “Dio li ama così come sono”. E’ un palliativo, ma non potendo curare il male alla radice – si dovrebbe sovvertire l’autoimmagine di un’intera società – tanto vale tamponare i sintomi negli individui. Chi si senta amato da Dio (o dal bellissimo Terence Hill) conserva qualche granello di autostima che al momento opportuno può evitare un suicidio, o un cancro, e riportare una pecorella smarrita all’ovile. Meglio una pecora viva che un lupo morto. Ma un brutto giorno la pecora che non finisce in pancia al lupo finisce arrosto sulla tavola del (buon) pastore.
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NON CAMBIARE
Chi prega chiede cose che desidera, non aspira ad elevarsi al di sopra delle cose. Vuole essere libero dal peccato e sicuro da ogni turbamento, ma non gli interessa liberarsi o diventare imperturbabile. Chi chiede miracoli non crede di poterne fare, e nemmeno di meritarli. Nessuno li merita perché siamo tutti peccatori dal concepimento in poi. Nessuno può elevarsi, rinascere o guarire, casomai sono le autorità preposte che ci sollevano, rigenerano e guariscono. Provare a farlo da soli sarebbe un atto di “superbia” perché ci renderebbe indipendenti, sminuendo il prestigio, il potere e il fatturato delle numerose autorità che ci coccolano e controllano.
Non possiamo smettere di soffrire di nostra iniziativa, dobbiamo aspettare un salvatore, e d’altra parte la sofferenza santifica. Soffrire è penoso ma è facile, chi soffre può fare la vittima e salire agli onori degli altari. Smettere di soffrire, invece, è faticoso. Bisogna cambiare abitudini e assumersi la responsabilità del proprio comportamento e delle proprie reazioni al comportamento altrui.
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LE COSE
La visione del mondo in cui siamo immersi stende davanti ai nostri occhi un mondo fatto di cose: forme stabili, oggetti materiali o concettuali separati. Pensiamo sempre a partire dalle cose: organi che hanno funzioni, concetti che hanno applicazioni. Dimentichiamo che è stato fatto l'organo per la funzione, non la funzione per l'organo. È la necessità di assorbire ossigeno a dare origine all'apparato respiratorio, non ci siamo ritrovati all'improvviso un paio di polmoni con le istruzioni per l'uso. E d'altra parte, che cosa ha spinto la materia solida ad assorbire ossigeno? E come siamo arrivati a dei polmoni senza una commissione di ingegneri che li disegnasse? Sembrerebbe esserci informazione in tutti gli eventi, informazione che gli fa prendere una direzione e non un'altra. È facile descrivere l’evoluzione col senno di poi, in termini di causa, effetto e scopo. Ma non dimentichiamo che è vietato attribuire scopi alla res extensa e imprudente proporre alla comunità scientifica un dio personale e trascendente che traffica con le molecole dell'acqua per fare miliardi di fiocchi di neve tutti a forma di stella a sei punte eppure tutti diversi.
Il funzionamento delle cose non è una cosa e non sta in nessun luogo. Le leggi naturali non sono cose, sono la descrizione di regolarità che percepiamo nei fenomeni. Che poi ci siano o meno, o ci sia qualcosa di più profondo che non riusciamo a percepire, o non ci sia niente, è tutta un’altra storia, che non conosciamo. Alcune regolarità, come il principio di Archimede, rimangono invariate nei secoli, altre si trasformano. Il concetto di gravità, per esempio, ha acquistato un significato più ampio in tempi recenti grazie alla teoria dello spazio curvo. Le leggi naturali sono idee, numeri, parole. I fisici trasformano fenomeni in lettere dell’alfabeto e ci fanno operazioni matematiche, ma in natura non esistono lettere, moltiplicazioni e divisioni: il tempo non è la stessa cosa che la lettera t, la velocità non è il rapporto fra tempo e spazio. Calcoli e formule sono convenzioni, e come fanno convenzioni e cose ad agganciarsi? L'io cartesiano ha imparato a non farsi mai questo tipo di domande, casomai trasforma anche le convenzioni in cose.
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IL FERMO IMMAGINE
Nel nostro mondo di cose ogni comportamento, per quanto effimero, viene fatto risalire a una qualità permanente; ci piace bollare amici e nemici, decidere quale sia la loro “natura”, magari con l’aiuto dell’oroscopo, distribuire tapiri d'oro in caso di lapsus, rendere definitive ed ereditabili ricchezza e povertà. Se un malessere si presenta più di una volta, ne facciamo una malattia. Le malattie dunque sono cose – non stati transitori – che il corpo ha acquisito e di cui non si libererà da solo.
Questa tendenza a reificare (far diventare una cosa) il fermo immagine di un processo in corso ha creato peccatori, donne isteriche, vecchi dementi… Potevano tutti condurre una vita più o meno normale, potevano superare il loro eventuale problema, continuare ad evolversi. Essere stati identificati con un comportamento fra i tanti che si avvicendano nella giornata, invece, li ha costretti a identificarsi con quel comportamento senza poterne più uscire, come un paio di scarpe strette rimaste incollate ai piedi. Anche chi si identifica con il proprio lavoro, con i propri gusti, con le preferenze sessuali, con un partito politico, si crea un’identità e l’indossa come una corazza da cui sarà difficile uscire se dovesse cambiare lavoro, idee e preferenze.
Vogliamo la realtà definitiva e non ci rendiamo conto di starla continuamente costruendo. La consolidiamo credendoci; se a costruire il “fatto” è un’autorità e il consenso è ampio, nessuno avrà dubbi. Perciò l'aspetto più pericoloso dell'abitudine di etichettare l'attimo fuggente è proprio la diagnosi di una malattia. Meccanicisticamente pensiamo che si tratti della descrizione di un fatto; di fatto si tratta dell'interpretazione di un fermo immagine, basata sulle convinzioni del medico. Per rendersene conto basta confrontare due letture dello stesso esame diagnostico fatte da due medici diversi all'insaputa l'uno dell'altro.
Gli esami diagnostici si sono moltiplicati negli ultimi anni, con grande spiegamento di mezzi. I medici stessi sono costretti dalla legislazione, dalla mancanza di tempo e dalla mancanza di intuito, a richiedere sempre più esami diagnostici e a interessarsi sempre meno alla persona che hanno davanti. Le apparecchiature da fantascienza ci dovrebbero convincere che la medicina è una scienza esatta. Una scienza esatta ha bisogno di dati esatti, non può occuparsi di soggetti in continua trasformazione se non trasformandoli in oggetti. Una volta si parlava di arte medica e i vecchi medici, quelli che guardandoti in faccia capivano cosa ti affligge, erano artisti. Cosa dovrebbe essere la medicina? Arte, scienza o entrambe? Purtroppo nel nostro mondo scisso è difficile mantenere in equilibrio termini che consideriamo opposti e inconciliabili. Un giorno forse ci accorgeremo che sono complementari.
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LA PAURA
L' io fratturato riceve una diagnosi che gli comunica di avere una malattia: si è ammalorato un pezzo del signor corpo, quell' estraneo i cui rapporti con il resto di “io” non sono mai stati chiari.
L'io si sente la morte dentro, in una parte di sé che non conosce (infatti non ne conosce nessuna) e comincia a lottare come un insetto preso nella tela del ragno per farsi togliere la malattia con un assortimento di strumenti che vanno dalla chirurgia invasiva alla supplica alla madonna di Pompei. Per quanto diversi, sono tutti interventi esterni. Se il pezzo guasto ricomincia a funzionare, tutto torna come prima in attesa di una nuova diagnosi che scateni un’altra volta la paura.
La paura, in medicina cinese, è il patogeno numero uno, quello che blocca tutta l'energia e alla lunga danneggia tutte le strutture, e questo lo sa bene anche la medicina occidentale, da quando l'idea psicosomatica va zoppicando per i nostri ambulatori: la paura deprime, indebolisce il sistema immunitario e rende ubbidiente il malato. L'autorità vive della paura dei sottoposti; nel caso della medicina questo è talmente assodato che, per farci vivere costantemente in stato di allarme, è stato creato un sistema di screening periodici chiamato “prevenzione”, che non ha niente a che fare con lo stile di vita e non previene ma individua le malattie quando ancora non ci sono. Una malattia che ancora non dà sintomi è una questione di fede: nel momento in cui compare un puntolino oppure un valore standard è alterato, noi ci convinciamo che la malattia esista e che, se non la curassimo, prima o poi esploderebbe. Forse invece resterebbe in eterno in latenza o regredirebbe spontaneamente. Chissà se sono davvero aumentati i casi di tumore o se invece non sono semplicemente aumentate le diagnosi, con il loro strascico di paura? Si può morire di paura per un falso positivo
(11),
ma quante persone saranno morte di un tumore non diagnosticato, oppure di AIDS senza sapere di essere sieropositive? Al crescere dell’età, invece di aumentare la saggezza aumenta la paura dell’Alzheimer e ogni dimenticanza, comprensibile in chi comincia ad avere l’hard disk pieno, giornate e attività noiosamente ripetitive e tante cose che è inutile o penoso ricordare, diventa un sintomo dell’orribile male. Il marchio dell’Alzheimer fa precipitare l’autostima e induce la depressione, che viene poi aggredita con farmaci ricchi di effetti collaterali.
Gli insegnanti di anatomia e fisiologia sono impazienti di mostrare ai futuri medici i siti più gettonati da tumori vari, ulcere e altre forme di disservizio, quasi che una curva nell’intestino, una ghiandola, un linfonodo, alla fine tutto il corpo, servissero principalmente ad infiammarsi o ad alloggiare il cancro xy. La patologia sembra sovrapporsi alla fisiologia nella scala delle priorità del nostro corpo. E’ “solo” una questione linguistica, è comprensibile, dato che la scienza medica si occupa di malattie, si tratta di sfumature, ma queste sfumature nutrono la sensazione di trovarsi sempre sull’orlo dell’abisso.
E’ divertente osservare quanto siano terrorizzati i medici stessi nel ritrovarsi dall’altra parte della barricata. Ammalarsi rappresenta una catastrofica perdita di status, e il fatto di avere una conoscenza tecnica del grande nemico li aiuta ben poco. Lo raccontano con grande onestà David Servan Scheriber in “Anticancro” e Oliver Sacks in “L’Occhio della Mente” (vedi bibliografia).
Sano significa intero; noi non siamo interi. L'io fratturato è la malattia dell'autoimmagine. Pensiamo a noi stessi come a un’accozzaglia di ingranaggi male assemblati e non riusciamo nemmeno a concepire la possibilità di avere le idee chiare su cosa siamo. La medicina psicosomatica, ormai di moda, è un tentativo di gettare un ponte sull'abisso ma non può richiuderlo: nel termine stesso ci sono una psiche e un corpo che si influenzano a vicenda, per quanto non sia chiaro come. Non è neppure del tutto chiaro perché a un determinato conflitto psicologico, per una certa persona, corrisponda un certo disturbo e non un altro.
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LA MALATTIA COME METAFORA
La domanda sulla decifrazione del linguaggio organico è stata posta un'ottantina di anni fa dal medico-filosofo tedesco Viktor von Weizsäcker (1886-1957), per i pochi che lo conoscono uno dei fondatori della medicina psicosomatica. Fra le innumerevoli intuizioni, che non presero mai la forma di una teoria unitaria, vorrei ricordare le più rilevanti per la decostruzione della nostra autoimmagine malata.
VW si accorse dell’importanza dei cambiamenti avvenuti nel campo della fisica, 60 anni prima che Bruce Lipton lamentasse l'ignoranza dei medici e biologi fermi alle caverne dei “fatti” e della realtà oggettiva mentre fisica e matematica, inoltrandosi con lo zoom nelle profondità della materia, non trovano altro che spazio vuoto e ne concludono che in fondo la realtà è quello che immaginiamo che sia.
Che l'emissione di energia di un pezzo di metallo riscaldato aumenti a salti invece che in modo continuo ovvero che, forse a causa dei limiti dell'osservatore e dei suoi strumenti, non sia possibile misurare simultaneamente la velocità e la posizione di una particella x, dopo tutto non cambia la vita a nessuno: la fisica quantistica si applica solo a livello subatomico. Le implicazioni della scoperta dei quanti sono state alquanto esagerate (forse anche da Bruce Lipton) e ciò non è strano: scoprire che al livello microcosmico il “mondo” che ci sembrava certo, solido e continuo non è tale può farci traballare i presupposti della realtà sotto i piedi. Non c'è miglior ginnastica mentale di un presupposto che traballa.
Von Weizsäcker di fisica ne capiva senz'altro più di me, ma anche a lui più che le formule interessavano le implicazioni della nuova fisica, o meglio del rinnovamento del pensiero che ha permesso il sorgere di una nuova fisica:
La scienza degli esseri viventi ha a che fare con oggetti che contengono essi stessi un soggetto. Se osiamo riconoscere lo sviluppo recente della fisica proprio nella direzione di tale inserimento del soggetto nell'oggetto (…), l'unità dell'osservazione naturale aumenta (...) attraverso un avvicinamento delle due parti. Però (...) diminuisce la vecchia pretesa delle scienze naturali alla rappresentabilità del mondo e all'universalismo. Questo allora non solo è irrealizzabile, ma diventa qualcosa di falso. (VW 1945, p.151)
Non esiste affatto una conoscenza pura, relativa a una verità che sia già preliminarmente sussistente e sia solo da trovare così qual è in sé, bensì la verità è possibile ma siamo sempre noi a doverla realizzare... (VW 1942, p. 173)
Veramente non ci sarebbe stato bisogno della fisica quantistica per stabilire che non si può studiare un oggetto a prescindere dal soggetto che lo studia e da come lo studia, a maggior ragione quando l'oggetto di studio è un essere vivente, che non si limita ad essere osservato ma a sua volta osserva l'osservatore – sarebbe bastato passarsi una mano sulla coscienza. Purtroppo la scienza meccanicista era priva di (auto)coscienza, essendo volta completamente verso l’esterno. Ci sono voluti i quanti per smuovere la coscienza di chi ce l’ha.
VW non si lascia intimidire dal prestigio della scienza e ne critica l’indifferenza morale.
(...)anche la scienza rappresenta un ben preciso atteggiamento umano fra molti altri, (...) non è affatto da ritenere una illuminazione divina che possa esigere una condizione speciale di venerazione. (…) Si può prendere sul serio (...) l'ethos della rigorosità scientifica. (...) Però non si troverà risposta alla domanda: “Come può accadere che nell'applicazione pratica della scienza risultino cose talmente sgradite? Se il principio era così buono, come può la sua applicazione essere così cattiva?” Secondo il mio parere ci si deve ora chiedere se il principio sia davvero così buono. (…) ci si abitua molto facilmente ai luoghi comuni, e ciò al punto che la coscienza non può più venir ridestata. (VW 1949 p. 131)
Le “cose sgradite” potrebbe essere un riferimento alle nuove armi sperimentate nelle due guerre.
La scienza meccanicista procede linearmente studiando rapporti di causa ed effetto, non così la fisica quantistica e neppure la medicina psicosomatica. VW intuisce la causalità circolare, cioè la compresenza di eventi che si causano a vicenda, qualcosa che la rigida mentalità occidentale riesce a percepire solo per un istante con la coda dell'occhio:
Al fine di descrivere la connessione psicofisica, il concetto di causalità è troppo circoscritto e totalmente problematico (...) lo psichico si esprime nel linguaggio del corpo, il corporeo in quello dello psichico: questa non è affatto causalità; e se si parla di psicogenia, si dovrebbe intendere soltanto un divenire storico nel corso del quale subentrino, in luogo di processi, mutamenti organici, e viceversa.
(VW 1949, pag. 137)
Psicosomatico dunque non significa che un problema psicologico causi una malattia, tantomeno indica un sintomo che non corrisponde a nessun vero disturbo (il cosiddetto “fatto nervoso”) ma che un problema, un conflitto a qualsiasi livello cerca un canale di espressione e appena lo trova si esprime, nel suo linguaggio criptico. Un conflitto interpersonale può esprimersi come dermatite mentre un organo affaticato può esprimersi con sogni ricorrenti, come osservò Jung. Purtroppo l’io fratturato non capisce se stesso e quasi mai comprende il segnale.
Un'altra intuizione fondamentale è che la medicina deve prendere in considerazione l'aspetto sociale e relazionale dell'essere umano:
...nella medicina è stato trascurato lo studio dei rapporti fra i soggetti. E mentre si combattevano le epidemie e si affrontava l'indagine della genetica, si ignorò invece la patologia della famiglia e dell'educazione. Perciò oggi il problema del matrimonio, la questione sessuale e quella del lavoro fanno capolino nelle ore di ambulatorio quasi fossero (...) corpi estranei, sebbene si sappia molto bene che i conflitti che essi generano appartengono alla patogenesi della tubercolosi, dell'ulcera, dell'ipertensione, dell'angina tonsillare e così via, nello stesso modo in cui l'acqua appartiene al sangue e la proteina alla cellula. Il rapporto di una persona con l'altra, così come quello dei pochi con i molti, è perciò un problema fondamentale per una psicosomatica antropologica. (VW 1949, pag. 135)
VW critica la divisione cartesiana fra corpo e psiche ma non la supera, però la dinamizza come relazione di incontro-scontro, in cui è fondamentale che corpo e psiche continuino a dialogare. Purtroppo è un dialogo difficile:
L'estraniamento reciproco di corpo e psiche risulta oggi molto ampio. (...) La dissociazione della testa dall'addome è un fatto ormai compiuto in tutti gli strati della società (...) ciò rende oltremodo necessaria, anche se più gravosa, la medicina psicosomatica. (VW 1949, p.140)
La medicina psicosomatica deve mirare alla consapevolezza di sé, e questo vale sia per il medico che per il paziente:
Noi dobbiamo rinunciare a quell'immagine oggettiva del mondo, ma possiamo farlo solo se alla scoperta della natura esterna seguirà di nuovo la scoperta di quella interna... (VW 1942, p. 174)
La malattia dell'uomo non è il guasto di una macchina, bensì la sua malattia non è altro che lui stesso (...)
(12)
Che la malattia abbia il senso di condurre chi ne è colpito al significato della propria esistenza sarà da intendere come ciò che la medicina naturalistica ha impedito completamente di riconoscere. (VW 1949, p.142)
Anche da un punto di vista etico VW era più avanti dei suoi tempi: dopo il 1918 rinunciò agli esperimenti sugli animali. Di fronte all'enormità della sofferenza che aveva affrontato negli ospedali militari durante la guerra, con mezzi di fortuna o senza altri mezzi per alleviarla che la sua capacità di ascoltare e confortare, VW decise di evitare qualsiasi violenza inutile su qualsiasi creatura.
Scrisse molto sul dolore, su cui non si stancava di filosofare e davanti a cui in fondo si sentiva impotente. Non è strano per un medico ospedaliero protestante (quindi appassionato lettore dell’Antico Testamento, in particolare del libro di Giobbe), che ha lavorato sui campi di battaglia della prima guerra mondiale, ha rifiutato il nazismo rimanendo in penoso silenzio mentre amici e collaboratori sparivano o emigravano, si è ritrovato in un campo di prigionia in entrambe le guerre e ha perso nell’ultima tre dei suoi quattro figli. Il medico secondo lui è tale solo se sa “volgersi verso il dolore” di chiunque, amico o nemico che sia, con attenzione indivisa e dedizione totale. La rassegnazione alla sofferenza, comprensibile date le circostanze, ci ricorda il limite di VW: la sua psicosomatica filosofica, come la psicoanalisi, è finalizzata più alla consapevolezza che alla risoluzione dei problemi. La felicità non fa parte del suo programma.
La nostra sofferenza non è un aereo che possiamo pilotare, bensì è essa stessa una specie di psiche, un uomo nell'uomo, spesso nemica, ma anche amica, spesso ostica ad ogni apprendimento ma anche istruttiva per noi. (Citato in Spinsanti p.143)
L'autoimmagine occidentale gli fa ritenere l'essere umano un prodotto finito deperibile e non rigenerabile, perciò VW arriva fin qui e non oltre: dalla sofferenza possiamo imparare, ma non possiamo trasformarla.
Oggigiorno, fra coloro che stanno superando l'autoimmagine divisa, ci sono molti giovani sani, belli, forti, senza responsabilità familiari o problemi economici, convinti che tutto sia possibile a tutti e che chi soffre se la sia voluta. Io preferisco astenermi dai giudizi universali. È lecito condannare chi è assolutamente inconsapevole di essersela voluta? Trovo ridicolo riempirsi la bocca di karma e sputarlo addosso a chi non sa nemmeno scrivere la lettera K. Potremmo volgerci, medici e non, verso il dolore ascoltandolo qualche volta in silenzio? Condannare la vittima è facile, è un modo per non vedere quello che in fondo non riusciamo a spiegare. VW ci insegna a non farlo.
Poco realisticamente, se si considera la quantità di tomi che i medici devono studiare, VW proponeva che i suoi colleghi studiassero a fondo anche la psicoanalisi. Il compito di capire la malattia sarebbe rimasto quindi nelle mani del medico, che avrebbe poi guidato i pazienti verso la comprensione di se stessi. A VW interessa capire il malato, ma non ha strumenti da mettergli a disposizione per capirsi e guarirsi da solo. Però intuisce che la psicoanalisi serve a colmare un vuoto nato da una separazione artificiale:
“…finché scienza e religione sono separate l'una dall'altra, ci serviamo della psicologia”
(13)
Forse un giorno se ne potrà fare a meno.
Ho fatto questo excursus su un pioniere poco noto per mettere a fuoco il concetto di malattia come espressione sensata. La medicina meccanicistica si frammenta in mille specializzazioni che aggrediscono ognuna un disturbo, riducendo il corpo dei pazienti a un campo di battaglia tra farmaci; la medicina psicosomatica cerca di interpretare tutti i disturbi come frasi di un solo linguaggio.
Ogni processo organico, per esempio l'infiammazione, l'ipertensione, l'iperglicemia, il dimagramento, deve essere concepito come simbolo e non come funzione. (1949, p. 142)
L'espressione della psiche attraverso il corpo è tanto misteriosa quanto quella attraverso i sogni. Potremmo dire che il corpo sia l'inconscio stesso in forma solida. Ci troveremo tutti i nostri conflitti rimossi sotto forma di grasso, occhiaie, acidità di stomaco, cistiti etc. Quando si trova la chiave di volta del sistema mente-corpo, possono avvenire guarigioni istantanee semplicemente perché è caduta la maschera dietro cui l'inconscio fingeva di essere un' entità separata. Se la psiche separata da se stessa, di cui VW parla in tono vagamente disfattista, si reintegra, la sofferenza può diventare un aereo pilotabile, e rottamabile.
Guarigioni istantanee da repentina presa di coscienza sono avvenute per esempio attraverso la controversa terapia verbale della dottoressa Gabriella Mereu, che smaterializza la malattia riportandola dove tutto comincia: alle parole. Le parole con cui i pazienti descrivono la malattia rivelano il suo simbolismo. La visita della dottoressa Mereu è una conversazione con il paziente, al contrario della visita del tipico specialista dell'ASL che mentre guarda le analisi chiacchiera al telefono.
Secondo Mereu siamo ingranaggi di una società snaturata che ci ipnotizza e deruba dell'eros, cioè di tutto ciò che rappresenta unione e piacere. La malattia è una protesta contro questa deprivazione. Curiosità, gioco, bellezza e sincerità sono le caratteristiche dell'eros, mentre la nostra vita è incastrata in uno schema comportamentale che nega la verità delle emozioni. Impersoniamo un ruolo e la malattia lo esaspera, diventa essa stessa una maschera tragicomica che la Mereu individua intuitivamente e fulmina con una frase terapeutica a sorpresa. La sua battuta spiazza, fa ridere, irrita, illumina. Questo in alcuni casi basta a far cessare i sintomi. Se tutto effettivamente comincia dalle parole, può anche finire grazie alle parole.
Troppo semplice per essere vero? Forse. Ingenuo? Meno di quel che sembra. La Mereu non si illude che basti far ridere un malato per farlo guarire definitivamente:
(…) se il paziente ride alle mie battute, o è liberato dalla verità che gli riconosco attraverso la metafora, viene sollevato dal suo male esattamente come se avesse preso un medicamento che funziona da placebo. La vera guarigione si attuerebbe solo se, dalla verità così rivelata, egli svolgesse una ricerca per evolvere verso una migliore qualità di vita, liberandosi di tutte le zavorre generate da inutili conflitti e legami nefasti. (La trappola dell’eros, pag. 118)
Questo stranissimo metodo eleva la metafora a sistema e agisce sul corpo attraverso la mente, bypassando sia il livello meccanico e chimico, a cui lavora la medicina occidentale, che quello energetico, a cui lavora la medicina cinese. La mente non finisce dove finisce il corpo, e ogni mente è intrecciata con le altre, tanto che il problema di una persona può esprimersi come malattia in un’altra. Gabriella Mereu cura bambini e addirittura animali domestici attraverso i genitori o i padroni.
La nostra medicina ufficiale ormai riconosce alla mente il potere di creare scompensi nel corpo, ma non quello di guarirli. Se glielo riconoscesse, invece di chiudere gli occhi sull'effetto placebo lo studierebbe. E se lo studiasse e lo applicasse i malati comincerebbero a guarirsi da soli, con grave danno economico per le case farmaceutiche. Che cos'è la sofferenza di pochi milioni di persone e animali da laboratorio di fronte alla conservazione del dogma, della ricchezza e del potere? La dottoressa Mereu è stata radiata dall'albo dei medici nel 2015, dunque conviene approfondire: www.gabriellamereu.it
Guarigioni istantanee (non è noto quanto siano durevoli) avvengono, in molte tradizioni religiose, in situazioni di esaltazione e allucinazione collettiva, stati di alterazione della coscienza più che di presa di coscienza. Sciamani, santoni, acque benedette, sfere di fuoco e apparizioni di santi e madonne possono risultare indigesti a noi persone razionali, ma è inutile negare l'evidenza: guariscono molta gente che vuole essere guarita. Evidentemente anche la fede cieca nel guaritore, nel guru o nel salvatore può azzerare la paura e dare un calcio alla coscienza scaraventandola, almeno temporaneamente, fuori da quella finzione che è lo stato di malattia.
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MEDICINE QUASI ALTERNATIVE
L'autoimmagine divisa è come un paio di occhiali rotti. Ci sono arrivate dall'oriente durante il secolo scorso nuove discipline che avrebbero potuto cambiarci le lenti, ma sono state fraintese. La nostra epoca ci consente di mescolare tutto con qualsiasi cosa, integrare nuovi metodi con una mentalità vecchia e trasformarli in denaro. Lo hatha yoga, per esempio, è diventato stretching e ne sono state create varianti semisportive con cui è facile rovinarsi la schiena e le ginocchia, per la felicità degli occidentali bramosi di competizione e di dolore.
La medicina occidentale ha fagocitato l’agopuntura perché empiricamente funziona, ma solo come analgesico e senza capirne le premesse, molto più antiche della medicina “tradizionale” standardizzata dal regime di Pechino. Quest’ultima si basa su protocolli (per il disturbo x usare i punti y e z ovvero le erbe k e w), mentre la medicina cinese antica è psicosomatica, si concentra sull’individuo più che sul disturbo e conosce la causalità circolare. Molti praticanti occidentali e occidentalizzati di agopuntura credono che i meridiani siano linee immaginarie che uniscono dei punti neurologicamente sensibili; storicamente invece la stimolazione degli agopunti fu sviluppata in un contesto diverso rispetto alla teoria dei meridiani
(14)
. I meridiani possono essere stimolati anche senza punti, attraverso postura, movimento e visualizzazione, ed esistono punti fuori meridiano. Secondo la teoria classica, i meridiani (come le nadi dello yoga) sono linee di forza, canali in un reticolo di energia intelligente, che precede e guida la formazione del corpo materiale. Non sono un attributo del corpo come muscoli e pelle, casomai è il corpo ad essere la manifestazione concreta dei meridiani.
Questa visione non è facile da capire perché si tratta del parto di una mentalità non materialista, diametralmente opposta alla nostra, che a noi sembra sostenersi sull'aria. Non sottovalutiamo l'aria: riesce a sostenere oggetti pesanti come aerei ed elicotteri, purché si muovano.
La mentalità aerea non è specificamente cinese; è diffusa in molte culture cosiddette “tradizionali”. Mi guardo bene dal confondere filosofie diverse, ma vedo in tutte un elemento comune: la visione concentrica, invece che fratturata, dell’essere umano e del mondo
(15)
. Questa visione non era ignota neppure in occidente, dove è finita spesso sul rogo. Sto parlando, naturalmente, di una tendenza. Ci sono anche in oriente scuole di pensiero, per esempio nel buddhismo antico, tra i devoti di Vishnu e tra gli estremisti dell’ascesi, che disprezzano la materia e ritengono il corpo disgustoso, come ci sono in occidente pensatori di scuola mistico-alchemica che tra un rogo e l'altro hanno mantenuto il contatto con l'”anima del mondo”, un mondo vivente e sacro nella sua interezza.
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L'IO CONCENTRICO
L'io concentrico vede se stesso come un campo di energia intelligente che si va condensando. Nel suo aspetto più sottile è pura informazione; nel suo aspetto più denso è un corpo fisico. L’aspetto più sottile è illimitato, possiamo chiamarlo Spirito, Energia Primordiale, Coscienza Cosmica… Addensandosi, autolimitandosi e moltiplicandosi la coscienza cosmica dà origine a un'anima individuale, a una mente individuale, a un reticolo energetico, a un corpo fisico. Non si tratta di una rovinosa “caduta” nella materia: lo Spirito prende forma per prendere coscienza di se stesso, e non c’è niente di rovinoso. Esistono miliardi di individui, e sono tutti come occhi che l’Uno apre per vedere se stesso da punti di vista diversi.
Il corpo è l’espressione densa di un campo aperto verso l’infinito, in cui ogni “livello” di aggregazione è matrice e causa del livello che lo segue, dal più sottile al più denso. Il corpo fisico è il livello che si forma per ultimo: il livello in cui si raccolgono gli effetti di tutte le cause.
La versione più articolata della visione concentrica si trova nella Taittirya Upanishad: la teoria dei cinque livelli, basilare nella filosofia dello yoga (quello vero). Le versioni estremo-orientali sono forse meno elaborate, ma il principio è lo stesso: è il senza forma che dà forma alla forma.
Gli stati di aggregazione esistono simultaneamente, non separati ma in un gradiente ininterrotto. L’essere umano concentrico non ha l’anima, casomai è l’anima. L’anima si costruisce un corpo; lo Spirito universale diventa universo materiale condensandosi come vapore che diventa acqua e poi ghiaccio. Tutto si svolge secondo gli stessi parametri nel macrocosmo e nel microcosmo, a tutti i livelli c'è coscienza, più o meno desta; le cose funzionano perché sono fatte di coscienza. La materia non è inerte, è spirito che rallentando il proprio movimento si condensa e di nuovo si rarefà quando l'aspetto fisico delle cose si disgrega. Cose e corpi scompaiono, la coscienza si ritira in se stessa e rielabora le esperienze fatte, pronta a diventare nuove cose e nuovi corpi sempre più raffinati, in una spirale evolutiva senza fine.
La visione concentrica è l’unica via che oltrepassa il dualismo mente-corpo senza ridurre la mente a una funzione del cervello. La mente si costruisce un cervello, che è la mente stessa nel suo aspetto materiale, la delicata interfaccia tra visibile e invisibile. Il cervello ci appare, grazie alle continue scoperte delle neuroscienze, sempre meno un meccanismo e sempre più un sistema capace di ristrutturarsi quasi all’infnito. Se accettiamo l’idea che ci stiamo evolvendo verso stati di coscienza sempre più sottili, possiamo riconciliarci con l’idea che non sapremo mai tutto –
ma sapremo sempre di più e cambierà il nostro modo di sapere, si trasformerà la mente che conosce e con la mente anche il cervello, che i nostri presuntuosi antenati positivisti alla fine del 1800, agli albori della scienza moderna, consideravano una specie di calcolatrice meccanica su cui ritenevano di aver scoperto tutto lo scopribile.
Per la mentalità concentrica anche ciò che per noi è l’inconscio più irraggiungibile è una forma latente di coscienza. Il sonno senza sogni, prajna nella Mandukya Upanishad, è considerato uno stato di beatitudine. Il livello turya, ancora più profondo, è lo stato di pura coscienza che trascende la mente e i sensi: il vero sé.
L’inconscio profondo dell’io fratturato, invece, è una cloaca che suscita angoscia in chi lo esplora. Jung ci spiega perché: noi occidentali siamo come bestie da preda sempre in cerca di bottino e ci sentiamo superiori a tutti gli altri popoli. Inconsapevoli della nostra ignoranza e ciechi alle ingiustizie che abbiamo sulla coscienza, continuiamo ad autoglorificarci e ad ammucchiare spazzatura sotto il tappeto. Se Freud trovò solo sesso e perversione nell’inconscio dei suoi pazienti, è perché lavorava in una società profondamente ipocrita
(16)
. Chi vuole a tutti i costi apparire “buono” senza avere i mezzi per diventarlo vede i mostri dell’inconscio più grossi di quello che sono. Accettare serenamente la verità su noi stessi – che non è mai tutta bella o completamente brutta – con la certezza di poterla cambiare, ci libererebbe da tanta inutile sofferenza.
Nell’autoimmagine concentrica corpo, energia, mente, sono tutti “io”. Anche la chimica cellulare, pilotata dalla mente inconscia che sa e fa tutto senza conoscere formule. La mente cosciente dell’io fratturato si sente superiore alle funzioni organiche e lontana da loro, perciò non riuscirà mai a controllarle; quella dell’io concentrico si sente una cosa sola con se stessa e non ha bisogno di fare la voce grossa per essere ubbidita. I leggendari asceti indiani capaci di rallentare a volontà il battito cardiaco, di entrare in uno stato di animazione sospesa, di vivere senza cibo, hanno “acceso le lampade” della zona buia di sé; non hanno conquistato a forza un territorio straniero uccidendone tutti gli abitanti, come faremmo noi scendendo nell’inconscio, per paura di essere uccisi.
“Conosci te stesso” in quest'ottica significa “esplora la tua coscienza e ci troverai l'universo, esplora l'universo e ci ritroverai la tua coscienza”. Tutte le capacità umane sono necessarie in questa impresa: analitiche, sintetiche, intuitive, artistiche, relazionali...
Nella visione concentrica scienza e religione non si sono mai divise, i campi del sapere non si sono frammentati in specializzazioni isolate l'una dall'altra e forse per questo il suo progresso tecnologico è stato modesto. Forse l'io concentrico non sarebbe arrivato fisicamente sulla luna, e non avrebbe ridotto la terra a un deposito di spazzatura, ma è l’io diviso che domina il mondo.
Tirando le somme dell’autoimmagine concentrica:
1) Spirito e materia sono due aspetti della stessa cosa.
2) L'essere umano è interconnesso con ogni altro essere vivente, con l’ambiente che lo sostiene e con la fonte spirituale da cui proviene. Siamo fatti tutti della stessa sostanza, ci aggreghiamo e disgreghiamo allo stesso modo.
3) L'essere umano, come l'universo di cui fa parte, è in continua evoluzione.
Come la psicoanalisi, anche l’evoluzione è di origine indiana. Dal cofano del tesoro dello yoga viene l’idea, poi mutuata dalla teosofia, che l’umano sia il punto d'arrivo dell'evoluzione animale, e il punto di partenza dell'evoluzione spirituale. Una volta raggiunte la stazione eretta e l'autocoscienza, la scimmia umana diventa libera di continuare a evolversi o fermarsi. Può decidere di non occuparsi della propria vita interiore, oppure, intravedendo le brutture che inevitabilmente si accumulano alla periferia della coscienza, rinunciare all’impresa, ovvero gettare tutte le brutture sulle spalle di un salvatore (Gesù, Krishna, il Buddha Amida, il confessore, lo psicoanalista…).
Fermarsi, rinunciare e affidarsi a terzi sono tappe della nostra faticosa evoluzione. Bisogna rullare per tutto l’aeroporto prima di decidersi a imboccare la pista di decollo; non c’è niente di male a rullare o a fermarsi e nessuno può giudicare l’evoluzione, il karma, i doveri di un altro. Il male comincia quando autorità e istituzioni, ferme da secoli, impediscono agli altri di prendere il volo.
Ogni autoimmagine è una teoria, anche se chi ci vive dentro la ritiene verità. L' autoimmagine fratturata manca di coerenza interna: senso di colpa e megalomania si accordano come cane e gatto, tanti principi mal definiti e peggio collegati (materia, energia, spirito, anima, mente, psiche, intelletto…) confondono più di quel che spiegano. L'autoimmagine concentrica invece è una teoria potente ed elegante: un solo principio spiega tutto.
Naturalmente chi sia nato in una cultura concentrica e ne è solo vagamente consapevole non si esprime nei termini che sto usando io. Ciò di cui si prende coscienza si trasforma: è il principio dell’universo a cucù. D’altra parte non è possibile vivere in eterno nell’incoscienza di quello che veramente si pensa. Può darsi che solo rendendosene conto si cominci a pensarlo davvero, e così si acquista la libertà di scelta dei propri pensieri.
La teoria concentrica, con vari nomi e da angolature diverse, è stata riveduta e corretta in epoca recente con l’aiuto della teosofia e dei movimenti New Age. Oggi siamo più consapevoli dei vantaggi di una visione integrata dell’essere umano perché abbiamo vissuto i disastri causati dalla dicotomia spirito-materia. Non c’è niente di male nel riprendere il filo di un discorso abbandonato o mai cominciato, basta non far dire agli antichi più di quel che hanno detto e prendersi la responsabilità di quello che si aggiunge.
D’altra parte, per quanto riveduta, nessuna teoria risponde a tutte le domande esistenziali che l’essere umano è capace di porsi. Nemmeno la visione concentrica esclude la domanda sul significato ultimo dell’esistenza. Dove va la spirale evolutiva? A che scopo? La risposta standard, che può soddisfare o no, è che sviluppando il nostro infinito potenziale, gradualmente scopriamo la risposta che si cela nella domanda e non abbiamo più bisogno di porre la domanda. Questo può avvenire sia in un lontano futuro che qui e adesso. L'uomo concentrico non è un prodotto finito, non è isolato perché è fatto della stessa coscienza che pervade tutto l'universo, non è intralciato da peccati originali né da dogmi né da verità ultime rivelate una tantum, può cambiare, se vuole, e lasciarsi dietro errori, finzioni e sofferenze.
Chi decida di smettere di soffrire deve ritirare tutte le deleghe, riprendersi le brutture che ha messo sulle spalle altrui e imparare a controllare la mente. Per farlo è necessario, che vi piaccia o no, l'autodominio.
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AUTODOMINIO???
Come lo (fra)intendiamo qui ed ora è solo un vestigio del barbogio superego freudiano: imbriglia le nostre reazioni e nasconde sotto il tappeto le emozioni sconvenienti. “Io non mi arrabbio mai” significa semplicemente “ingoio la rabbia”. Per voler essere buoni ingoiamo rospi e siamo sempre in guerra, ognuno contro se stesso, con odio degno di peggior causa. Chi ha la guerra dentro difficilmente diffonderà la pace intorno a sé.
Una volta, in una cartolibreria, ho cercato invano un raccoglitore ad anelli. Non riuscivo a trovare lo scaffale giusto perché invece che “ufficio” o “cartoleria” si chiamava “emozioni”… Come tutti gli altri scaffali. Qualsiasi prodotto viene pubblicizzato come fonte di emozioni, e infatti è possibile che ci arrabbiamo se il trabiccolo emozionante si guasta appena scaduta la garanzia, ma dovevamo aspettarcelo: le emozioni sono transitorie. Dovrebbero fluire e defluire senza lasciare ferite, come il flusso del sangue in entrata e in uscita non travolge un cuore sano. Invece si impiantano, ostruiscono le arterie e il cuore si ammala.
Noi cavernicoli compriamo emozioni, ci lasciamo trascinare dalle emozioni, le inseguiamo e le usiamo come attenuante se combiniamo guai, chiudendo gli occhi sull’inferno di sofferenza fisica e confusione mentale a cui una vita di emotività incontrollata ci condanna in vecchiaia. Le emozioni non sono altro che reazioni chimiche suscitabili anche artificialmente, le condividiamo con gli altri mammiferi e hanno una funzione per la sopravvivenza: la paura ci aiuta a evitare un pericolo, il disgusto ci evita di mangiare cibi avariati, l’attrazione ci spinge ad accoppiarci o a stringere relazioni sociali – senza le quali non potremmo vivere – il brivido dell’azione temeraria ci apre nuovi orizzonti ... Come le spezie che insaporiscono il cibo, le emozioni sono importanti, ma non più importanti del cibo stesso. E’ la nostra interpretazione a renderle più importanti di quello che sono. Le usiamo come droga oppure le giudichiamo aspramente, ma giudicare o temere le emozioni significa sovrapporre all’emozione un’altra emozione. L’autodominio non è darsi una botta in testa ogni volta che si concupisce qualcosa, è un lungo lavoro di ricerca del giusto mezzo. Al centro del giusto mezzo c’è l’uscita dal labirinto della sofferenza. E’ una porticina piccola e nascosta, felice chi la trova! Trovarla però costa fatica e richiede moltissima pazienza.
L'inizio dell'autodominio è disidentificarsi (senza reprimerli!) da emozioni, desideri e pensieri vaganti, che sono “io” solo per un istante e identificarsi invece con la grande sconosciuta che è “io” per sempre: la coscienza che osserva, il testimone silenzioso di tutto ciò che attraversa la mente. Il testimone silenzioso è puro, l’io fratturato invece si sente sporco. Ha dissacrato se stesso dividendosi in due; ha colpevolizzato il piacere e santificato il dolore, crede addirittura che soffrire sia un’attività meritevole. I suoi desideri repressi lievitano come panettoni impazziti nelle cantine dell’inconscio e quando arrivano al piano di sopra bisogna sublimarli per non diventare dei mostri.
“Non arrabbiarsi” per chi si identifica con il testimone silenzioso vuol dire aver innalzato il proprio punto di vista, sapersi mettere nei panni altrui e stare con consapevolezza nei propri. L’abitudine di comprendere sostituisce quella di sentirsi aggrediti e di aggredire. Nel caso la rabbia sorga, viene accolta con atteggiamento compassionevole, senza cercare colpe, così la rabbia si sgonfia e sparisce. Ogni impulso viene osservato e interrogato (non giudicato!) dalla coscienza: “Come ti chiami? Da dove vieni? Che ci fai qui? Che cosa ti ha risvegliato?” Messo alle strette, dovrà dire la verità.
Scoprire quale sia il vero motivo che ci spinge a scattare ci dà la possibilità di fermarci. Mentre contiamo fino a mille, il nostro vecchio modo di reagire comincerà ad apparirci come uno dei tanti possibili, non certo il migliore e piuttosto ridicolo. Nell’ignoranza abbiamo un solo modo di comportarci e lo riteniamo giusto. Nella consapevolezza scopriamo la verità su noi stessi, che ci rende liberi di scegliere la reazione migliore.
C’è moltissimo lavoro da fare, dato che la condizione umana è solo un punto di partenza. I percorsi di trasformazione creati dall’io concentrico sono calibrati su tutti i tipi di personalità, ci sono tecniche solo mentali e altre psicofisiche; per millenni sono state tramandate in segreto e oggi sono alla portata di tutti. Quando si lavora a tutti i livelli dell’io, sia la mente che il corpo diventano più flessibili e contemporaneamente si raddrizzano, permettendo ai fluidi e alle energie sottili di circolare senza ingorghi. L’atteggiamento e la postura si riflettono l’una sull’altro, il riallineamento ha come effetto collaterale la salute.
Solo comprendendo questo le discipline evolutive come lo yoga e il qigong acquistano un senso, altrimenti vengono usate come una banale aspirina per curare qualche sintomo, o, peggio, come l'ennesima fonte di emozioni fini a se stesse.
Purtroppo l’io fratturato ha buttato via le tecniche di trasformazione e affidato a terzi il controllo di sé. La religione costituita pretende che i fedeli diventino buoni semplicemente “ascoltando la parola e mettendola in pratica”. Le tecniche di autoelevazione furono messe all'indice delle diavolerie proibite secoli fa e molti le ritengono tuttora “cose pagane”. Così la nostra morale è fatta di norme che non si può umanamente seguire, prediche vane e futili sensi di colpa. Ascoltando “ la parola” si può essere d’accordo, ma senza una tecnica evolutiva non la si può mettere in pratica se non si è santi – o pazzi – dalla nascita. L’io fratturato non ha gli strumenti per diventare “buono”, e così non gli resta che fingere di esserlo – la famosa ipocrisia non è altro che mancanza di tecnica – oppure rassegnarsi all’imperfezione, snocciolando preghiere perché qualcuno dall’esterno venga a perdonare le colpe che continua a commettere.
E ppure per cominciare ad elevarsi basta osservare.
Ecco un semplice esercizio pagano e peccaminoso:
Portare la consapevolezza al respiro, ad esempio prima di dormire, senza cercare di cambiarlo, e non pensare ad altro che al respiro per dodici respiri.
Lo so, è difficilissimo. Dopo un respiro stiamo pensando alla bolletta del gas.
E allora visualizziamo la bolletta del gas e non pensiamo ad altro per dodici respiri... dopo due respiri siamo già al condominio…
Ok, riportiamo la consapevolezza al respiro, osserviamo per un po’ il movimento dell'addome, poi quello delle costole … poi sentiamo l'aria che passa e ripassa nel naso e se ancora non stiamo dormendo osserviamo i pensieri che diventano sempre più sconclusionati man mano che la coscienza di veglia si diluisce in quella di sonno...
Missione impossibile. Stiamo già pensando alla TAssa sul RESpiro che verrà introdotta dal prossimo governo.
Un’ultima possibilità: monitorare le emozioni in un momento qualsiasi della giornata. Per due minuti, qualsiasi cosa stiate facendo, tenete la consapevolezza avvitata alle emozioni e rendetevi conto di come vi sentite, senza bugie, senza giudizio.
Per realizzare le potenzialità umane bisogna avvitare la mente ad ogni momento della vita, e per superare il livello umano serve un’altra capacità poco diffusa e poco apprezzata: quella di ridere di se stessi.
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LA LIBERTÀ
La libertà, con buona pace di Giorgio Gaber, è applicare e distogliere la mente a volontà senza lasciarla girare a vuoto. La libertà è morire rotondo, Qualsiasi numero di angoli si avesse alla nascita.
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LA MEDICINA CONCENTRICA
"Come l'acqua, raffreddandosi e condensandosi, diviene ghiaccio, così il pensiero, condensandosi, assume forma fisica. Ogni cosa nell'universo è pensiero in forma materiale. Gli organi interni non sono che una strutturazione fisica del microcosmico modello-pensiero." (Yogananda 1980, pag. 87)
Dal punto di vista dell’io concentrico, che si trova a casa sua fra cielo e terra, la divinità non invia punizioni, le cellule non sono psicotiche, la Natura non sbaglia, ma, se l’essere umano commette errori, glieli fa notare. Se l'avvertimento viene ascoltato la Natura perdona e l’individuo, imparando dai propri errori, si evolve.
Il livello materiale è il livello degli effetti, quello in cui precipitano le emozioni e i pensieri mantenuti a lungo. Secondo la medicina concentrica, cinese o ayurvedica che sia, una degenerazione strutturale comincia da un disturbo funzionale, le cause di un disturbo funzionale sono da ricercarsi nella circolazione energetica e l'energia segue la mente. Possono intervenire anche fattori esterni, climatici o alimentari, ma “entrano” e causano danni solo se il livello energetico dell’organismo è basso. Anche una tegola in testa può coglierci più facilmente se siamo distratti, cioè se c’è poca energia negli organi di senso.
Scoperti i problemi, se si vuole guarire bisogna risolverli o trascenderli in qualche modo. Il medico può aiutare il paziente a capire il meccanismo che ha dato origine alla malattia, incoraggiarlo, dare suggerimenti (farmacologici, dietetici, posturali, relazionali…) per sbloccare una situazione di stallo, ma in ultima analisi è il malato che decide se vuole guarire o no. Nel mondo concentrico i medici non prendono in carico i pazienti (che espressione rivelatrice prendere in carico! Ci fa capire che vediamo il paziente come un peso morto).
Rimuovendo gli ostacoli a monte cambierà il flusso dell'energia a valle. Più o meno lentamente la materia si allineerà col nuovo assetto dell’energia. I miracoli sono sempre possibili, ma bisogna farli. Chi conosce la Natura sa che niente è più sovrannaturale della Natura stessa, niente le è impossibile se ad attingere al suo potere è una mente calma e focalizzata. L’immaginazione creativa (si può chiamare fede, come fa anche Yogananda qui sotto, ma io preferisco il termine tecnico) di una mente addestrata può risalire allo stato di assenza di forma e ridare alla materia, istantaneamente o lentamente, una forma più adatta alla vita e alla felicità. La materia è spirito raggomitolato nel sonno, sta alla mente ridestarla. Questa può essere una chiave per interpretare il verso iniziale del Sutra del Cuore (Prajna Paramita Hridaya Sutra):
“La forma non è diversa dal vuoto e il vuoto non è diverso dalla forma”
Il “vuoto” sarebbe la matrice della forma, l’oceano delle infinite possibilità, non certo il nulla. Sul nulla si possono prendere posizioni diverse; la mia è che il nulla, fino a prova contraria, non c’è.
Nell’ambito della visione concentrica è facile spiegare perché qualsiasi tipo di terapia, incluso il tamburo dello sciamano e il bagno nell’acqua di Lourdes, vanti i suoi successi.
“L'unico potere infinito di guarire giace nella mente e nell'anima dell'uomo. Il corpo non può essere guarito con i mezzi spirituali se il potere mentale e la fede sono deboli. La guarigione permanente deriva dall'illimitato potere della mente e dalla grazia di Dio." (Yogananda 1980, p.94)
Più alto è il livello a cui si riesce ad agire, più duratura sarà la guarigione. La guarigione spirituale è definitiva perché rimuove tutte le cause di sofferenza a tutti i livelli, ma il miracolo deve essere reso possibile. Chi invoca miracoli con mente instabile e distratta, pensando di non meritarli, non li ottiene. Se, tamponati i sintomi con qualsiasi mezzo, le cause profonde rimangono, la malattia può ritornare.
Dal punto di vista concentrico la malattia fa meno paura: in fondo è una spia che si accende per segnalare un errore. La malattia non arriva per caso e non è una punizione: sbagliare è umano, è umano anche rimediare. Così non si cade nel panico e nemmeno nella vergogna e la malattia non si aggrava. Forse è per questo, per la buona autostima e la scarsa litigiosità dell'io concentrico, più che che per questioni di stile di vita (anch’esse importanti), che nelle culture concentriche ci si ammala di meno e si vive meglio.
La funzione principale del corpo in una cultura concentrica non è quella di ospitare malattie, e di conseguenza la funzione della medicina non è semplicemente quella di indagare sulle malattie e combatterle. Sentiamo la sinologa:
L'intento principale della medicina classica era quello di preservare l'individuo dalla malattia al fine di consentirgli il pieno sviluppo delle proprie potenzialità fisiche e spirituali (...) La cura e la prevenzione delle malattie non rappresentavano il fine ultimo ma il presupposto per accedere a stati più evoluti di coscienza e quindi di esistenza. Dalla malattia alla trascendenza non esiste soluzione di continuità; terapia, prevenzione e sviluppo ulteriore delle facoltà individuali costituiscono tre tappe di un unico percorso, nel quale il normale stato di salute rappresenta il livello intermedio.
(Giulia Boschi 2003, pag. 344)
Dunque la medicina concentrica fa parte di un percorso di trasformazione – volendo tutte le arti e le scienze ne fanno parte – che comincia dal conoscere se stessi.
Nell’immancabile scambio di energie tra medico e paziente (avviene in qualsiasi relazione, a maggior ragione in quella terapeutica) un medico che non curi se stesso non solo è poco credibile, ma può scaricare i suoi problemi sul paziente e farlo stare peggio. Conosco per esperienza la differenza tra l’agopuntura praticata da un medico che “gioca a freccette” con la mente altrove e quella praticata da un medico che lavora con la mente a quello che fa e l’intenzione sincera di aiutare. Nel primo caso può migliorare provvisoriamente qualche sintomo, nel secondo si possono risolvere come per magia su tutti i fronti situazioni apparentemente complicate. Bisogna dar credito a von Weizsäcker, oltre che per l’intuizione sul significato della malattia come strumento di autoconoscenza, anche per l’etica del “volgersi verso il dolore”. VW non conosceva l’importanza dell’intenzione nei percorsi trasformativi perché non conosceva percorsi trasformativi, per chi li conosca, il medico deve coltivare la mente e dirigerla verso la salute e la felicità del paziente già nel momento in cui gli sente il polso per capire la sua situazione energetica. L’intenzione di bene di una mente addestrata è più potente di mille preghiere di una mente scompaginata, mentre per umiliare una persona con l’autostima già provata, nulla è più efficace di uno specialista che visita chiacchierando al telefono.
Nel regno dell’io fratturato la medicina è stata innalzata alle vette di Hollywood e degradata a partner aziendale incaricato di rimandare al più presto la gente al lavoro o dimostrare chiaramente che siamo circondati da nemici invisibili esterni e interni al corpo e la ricerca merita sempre più fondi per combatterli. Se l'io fratturato non vivesse nella paura non arricchirebbe compagnie assicuratrici e case farmaceutiche, non si sottoporrebbe continuamente a test destinati a creare prima o poi quello che cercano, e si ammalerebbe di meno...
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E L'ALIMENTAZIONE?
“Un maestro può ignorare senza effetti dannosi le regole dietetiche e le altre norme per la salute, ma l'individuo comune dovrebbe aver cura di conservare il benessere fisico osservando in modo giusto le leggi della natura.” (Yogananda 1980, pag. 94)
La nutriterapia occidentale risale almeno a Ippocrate; solo dopo la seconda guerra mondiale la medicina meccanicista ha inaugurato l’atteggiamento “Prenditi un antibiotico e mangia quel che vuoi”. Il culto degli antibiotici è più o meno contemporaneo alla moda pediatrica di lasciar piangere i neonati senza prenderli in braccio; con abbuffate di antibiotici e digiuni di coccole fu rovinata un’intera generazione. Allora non c’era internet e i medici erano simili a Dio; se non lo fossero stati nessuna giovane mamma avrebbe pensato che i loro consigli valessero più dell’impulso naturale di consolare il pargolo. L’inversione di tendenza non si fece attendere troppo. Per quanto riguarda l’alimentazione, il lento ritorno alla ragione culmina simbolicamente intorno al 2004, quando Richard Béliveau nel suo laboratorio di medicina molecolare a Montréal si disse: “Cavoli, non posso brevettare i mirtilli!” Béliveau si era accorto che le sostanze brevettate fino ad allora per le ditte farmaceutiche non valevano un mirtillo in quanto ad efficacia nel prevenire e combattere i tumori. Lasciò perdere i rimedi di sintesi e trasformò il laboratorio in una specie di fabbrica di succhi di frutta e verdura. Decise anche di mettere a disposizione dell’umanità le sue scoperte perché tutti potessero prevenire e curare il cancro da soli.
“L’alimentazione anticancro” di Béliveau & Gingras (Sperling e Kupfer 2006) è uno dei miei libri preferiti; trovo godurioso che un’autorità mondiale abbia deciso di andare controcorrente esponendosi alle critiche dei media, sempre pronti a mettere alla berlina i calzini celesti di un magistrato o la collezione di armature giapponesi di un professore di biochimica. In Italia è soprattutto il dottor Franco Berrino a portare avanti la ricerca sulla nutriterapia, qui potete vedere due delle sue lezioni:
https://www.youtube.com/watch?v=Y7bFgBTVyZk (prevenzione)
https://www.youtube.com/watch?v=3Vx4PuHxdPM (sull’osteoporosi)
Importante: Béliveau & compagni consigliano cavoli, arance, tè verde, frutti di bosco, cipolle etc. e non le singole sostanze che contengono, sotto forma di integratori. Assumere l’alimento intero, che contiene un cocktail di sostanze fitochimiche ben conservate fra le pareti cellulari e in equilibrio tra di loro, permette di agire su vari processi, mentre, una volta isolate, le stesse sostanze sovraccaricano i sistemi di assorbimento. Alcuni composti molto instabili perdono le loro caratteristiche e possono diventare addirittura nocivi. Una pillola di vitamina C non ha nulla a che vedere con la bomba di benessere rappresentata da un’arancia maturata sull’albero. L’arancia è molto più della somma dei suoi antiossidanti, è immunostimolante già solo a guardarla, e un blister di compresse, quando si apre, certamente non diffonde nel raggio di cento metri quel profumo che mette allegria…
Un altro testo che raccomando è “The China Study” di T. Colin Campbell. Sia Beliveau che Campbell spiegano le loro teorie sull’alimentazione in modo estremamente chiaro e con plausibili prove epidemiologiche. Campbell ci spiega, inoltre, che cosa sia la ricerca, e come non lasciarsi abbagliare dai risultati di tante ricerche ad hoc, finanziate dalle industrie farmaceutica e alimentare per indurci a consumare tutto ciò che rende necessari farmaci e integratori per curare i mali indotti dalla cattiva alimentazione.
Quello che fa male, dice Campbell, è la tipica dieta occidentale: carne rossa, latticini, fritti, zuccheri raffinati, pane bianco, maionese... Non tanto gli ogm (fanno male più che altro all’ambiente) e nemmeno certe sostanze ritenute tossiche, di cui si servono ogni tanto i media americani per scatenare il panico. Lo fanno per depistare l’attenzione del pubblico da qualche porcata politica o dal fatto che è l’eccesso di proteine animali, non l’acido citrico, a favorire lo sviluppo del cancro. Campbell dimostra inoltre che alcune sostanze davvero tossiche si attivano solo in chi consuma molte proteine animali, mentre vegani e quasi vegani la fanno franca.
D’altra parte la chimica organica non è una scienza esatta. Non si può dire “X fa bene a Y” se non si considera quanto se ne mangia e insieme a cosa. Una combinazione sbagliata di alimenti può impedire l’assimilazione di quelli più salutari e causare fermentazione intestinale. Un bicchiere di vino rosso al giorno può prevenire molti mali, mentre un fiasco può farli venire. Non serve mangiare due fragole e tre pomodori se poi arrivano pane bianco e salame; la quantità di calorie assunte non ci predice se ingrasseremo: l’organismo decide che cosa accumulare come grasso in base a una situazione che conosce solo lui. D’altra parte non tutto va bene per tutti: se una dieta a base di verdure fresche, frutta e cereali integrali in linea di principio previene e cura tanto il cancro quanto i disturbi cardiovascolari, non farà bene a chi soffre di diverticolite. La famiglia cavoli, insegna Beliveau, è un potente anticancerogeno, ma i cavoli risultano indigesti a molte persone anche se conditi solo con olio e limone. Se non vengono digeriti bene, le preziose sostanze che contengono non saranno assimilate. Nella digestione sostengono un ruolo anche i pregiudizi: se fin dall’infanzia lo stomaco sente dire che il cavolo puzza ed è pesante, lo rifiuta per principio.
Per anni ho mangiato riso senza problemi, ma appena mi hanno detto che secondo la medicina cinese “fa umidità”, mi si è gonfiato lo stomaco di bolle d’aria e senso di colpa. Nell’ultima lezione di medicina cinese, però, ho appreso che, per quanto riguarda i cereali, solo l’eccesso di pane e pasta è ritenuto davvero deleterio, mentre il vero nemico della pancia sarebbe il latte con i suoi derivati
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. Ho mandato giù un piattone di riso integrale con sommo gaudio e senza nemmeno una bollicina d’aria. Dunque il riso gonfia la pancia, purché qualcuno te lo dica. Come mai tutta l’Asia ha mangiato riso per millenni, così come l’Europa ha mangiato pane e l’America mais, senza avere grossi problemi di pancia gonfia? I nostri avi non usavano prodotti raffinati, mangiavano poco e zappavano molto. Però campavano molto meno di noi. Le cose non sono mai semplici, non si possono lodare alla leggera i bei tempi andati e nemmeno i bei tempi venuti.
Qui sopra ho fatto l’apoteosi dell’arancia, ma c’è chi la trova irritante. In medicina cinese l’avversione a un sapore indica che l’elemento corrispondente a quel sapore è già in eccesso, e quindi lo si deve evitare finché non si sia ripristinato l’equilibrio. Anche un cibo teoricamente salutare non lo è per tutti. I cereali integrali sono ricchissimi di sostanze nutrienti, ma, dice sempre la medicina cinese, se il sistema milza-stomaco ha poca energia non ce la fa a elaborarle e perde la poca energia che ha. La dietetica occidentale è grezza al confronto di quella cinese, anche se meglio documentata. I consigli di Campbell e Béliveau, infatti, non sono personalizzati. Molti saggi convengono che la dieta del paziente oncologico dovrebbe essere vegana e priva di zucchero, ma per la medicina cinese è necessario anche stabilire se il singolo paziente abbia più bisogno di fresche insalate o di caldi minestroni, di sapore acido la mattina o amaro la sera.
La nutriterapia non esclude l’assunzione di farmaci, ma può renderli inutili o permettere di ridurne il dosaggio. Per quanto le malattie vengano considerate ancora nemici da combattere, questa nuova frontiera compie un passo avanti rivalutando l’intelligenza della Natura e restituendo al paziente la responsabilità della propria salute. Cambiare abitudini alimentari sembra una cosa da poco, finché non ci si prova. Le cattive abitudini hanno radici profonde e liberarsene è così difficile, come sa chi vorrebbe dimagrire, che riuscirci davvero indica una volontà di cambiamento abbastanza forte da scavalcare il veto posto dall’inconscio e permettere la guarigione. Che la guarigione sia dovuta all’alimentazione o alla ferma volontà di cambiare, o a entrambe, forse non lo sapremo mai.
I salutisti fanatici soffrono privandosi di tutto quello che gli piacerebbe mangiare, vogliono far soffrire anche gli altri e instillano sensi di insufficienza e colpa a destra e a manca, ma si ammalano come tutti gli altri perché si nutrono di rabbia e paura, che senz’altro fanno più male di un pezzetto di formaggio biologico ogni tanto. (Il latte degli animali che brucano erba fresca contiene abbastanza grassi omega 3 da essere consumabile senza disastri). In principio era la mente, e lo è tuttora. Il cibo agisce sulla chimica e sull’energia, ma il pensiero sta a monte di entrambe; il fanatismo è una malattia della mente e può vanificare gli effetti di tutte le buone abitudini. Se invece la mente è limpida come uno specchio e libera da colpe, paura e rabbia, l’organismo ha a disposizione tanta energia da macinare tutto e trasformare in nutrimento anche l’eventuale scamorza ai ferri.
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PER GLI STESSI GAMBERI PASSANO NUMEROSE TEORIE
I frutti di mare secondo la dietetica cinese sono ottimi (in quantità moderate) per rigenerare l’ “essenza vitale” di cui è fatto l'organismo. Tuttavia, secondo la dietetica occidentale, contengono grassi che, al pari di quelli contenuti nelle uova, possono far aumentare il colesterolo “cattivo”… secondo alcune fonti. Secondo altre incrementano quello “buono”. Per non parlare delle famose allergie a uova e crostacei. Sul significato della recente esplosione di allergie e sull’esistenza di un colesterolo buono e uno cattivo udremo pareri discordi; c’è chi dice che il colesterolo generale sta bene sotto i 200 mg/dl e chi invece (the China Study) che per stornare il rischio di infarto si deve scendere a 150. Tornando ai frutti di mare, c’è anche una questione di ahimsa (non-violenza): quelle povere creature, quando arrivano sul piatto, contengono tutto l'orrore e la sofferenza di essere state bollite vive, perché è così che ammazziamo vongole, gamberi e aragoste.
C'è chi sostiene che le creature da noi uccise compiano il loro destino trasformandosi in nutrimento per noi, che useremo la loro energia vitale per compiere destino nostro…
Questa razionalizzazione mi ricorda la bufala della corrida: il toro, bestio guerriero, se potesse sceglierebbe di morire combattendo nell'arena piuttosto che di vecchiaia. Peccato che il toro non possa dire la sua.
Insomma, i gamberetti fanno bene o male a mia nonna? È difficile stabilire l'effetto di un singolo elemento quando ce ne sono moltissimi presenti contemporaneamente. Tutte le ricerche eseguite con mezzi statistici, viste attraverso le pagine di un rotocalco sembrano molto certe, ma viste da vicino contengono sempre un gran numero di “sembra” e “probabilmente”. Solo le meta-analisi di un gran numero di ricerche ci danno qualche punto fermo, ma i punti fermi sono come le stelle principali delle costellazioni che vediamo in cielo. Vediamo delle figure non perché esistano, ma perché ci siamo messi d’accordo nella notte dei tempi su come raggruppare le stelle. Si tratta di stelle lontanissime tra di loro che non hanno nulla a raggrupparle se non la prospettiva terrestre. Il disegno che sembrano formare lo fa la tendenza del nostro cervello a mettere ordine nei dati che riceve dai sensi. Tutto il nostro sapere in fondo è come le costellazioni.
Più il nostro mondo si fa complesso, più cose sappiamo solo per sentito dire; la “realtà” dovrebbe chiamarsi “consenso”. E’ normale che sia così: ci siamo evoluti come animali sociali, il nostro ambiente è un gruppo umano in cui ci si scambiano informazioni preziose per la sopravvivenza. Dobbiamo poterci fidare dei membri del nostro clan, perciò tendenzialmente crediamo quello su cui tutti concordano. Per secoli abbiamo creduto che la terra fosse piatta. Quello era il consenso, cioè la realtà.
E allora? i gamberetti fanno bene o fanno male?
Fermo restando che tutte le affermazioni affermano qualcosa di vero, si avvererà ciò che ognuno si aspetta. Per chi non si cura della sofferenza di un gambero, i crostacei arricchiranno la sostanza vitale oppure il colesterolo cattivo, ma chi non può fare a meno di immedesimarsi con tutti gli esseri viventi non avrà nessuna voglia di mangiar gamberi e non ne avrà nemmeno bisogno. Se ne mangiasse si sentirebbe sporco, triste e colpevole, lo stomaco li rifiuterebbe e senz’altro gli farebbero male.
Fra gli adepti dei percorsi di trasformazione alcune scuole di pensiero danno importanza al cibo, altre no. Fra i praticanti di yoga ci sono vegani, vegetariani e onnivori, stesso dicasi per i monaci buddhisti, stesso dicasi per i cultori del qigong. I tantristi bevono vino e mangiano carne, ma se non c’è da mangiare si nutrono d’aria.
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PACE CON LA NATURA?
Finora abbiamo parlato di malattia e di guarigione, abbiamo assodato che esistono modi diversi di interpretare e curare gli stessi sintomi, ma la mente umana poteva spingersi ancora oltre e lo ha fatto. Il pensiero nuovo ci spinge a riprendere il timone di noi stessi mentre l’abitudine ci riporta fra le braccia della medicina a catena di montaggio. La scelta è difficile tra la via vecchia e la nuova; la paura è tanta, la voglia di cambiare anche.
Dobbiamo considerare la possibilità che quanto abbiamo creduto finora sia falso, che abbiamo vissuto nell' incubo costruito da una mente malata. Come i prigionieri della caverna di Platone, forse stiamo guardando nella direzione sbagliata, ma ci abbiamo investito tanta energia che non vogliamo sentircelo dire. Chi ce lo dicesse passerebbe un guaio.
Come i filosofi aristotelici dello studio di Padova si rifiutarono di guardare nel telescopio di Galileo per vedere le montagne della luna e i satelliti di Giove, così la medicina ufficiale si rifiuta graniticamente di sperimentare la Nuova Medicina dell’internista e inventore R.G. Hamer. Una sola università ha acconsentito ufficialmente alla verifica, quella di Trnava in Slovacchia, riaperta dopo la caduta della cortina di ferro. Non è un'università prestigiosa, ma aperta all’innovazione e a tutto ciò che può alleggerire il carico dell'umanità. Nel 1998 Hamer riuscì a stabilire, coerentemente con la propria teoria della patogenesi, le cause dei disturbi di sette malati scelti dai medici di Trnava fra i pazienti dell'ospedale universitario. Hamer cerca la causa del disagio nei traumi vissuti dai pazienti e nella conseguente attivazione di determinate aree del cervello, perciò non ebbe bisogno dello stetoscopio, gli bastò conversare con i malati e analizzare le loro TAC cerebrali. La prova convinse i professori di Trnava, che in una dichiarazione scritta caldeggiarono l’applicazione delle scoperte di Hamer. Con le sue soluzioni semplici e ingegnose la Nuova Medicina potrebbe salvare migliaia di malati ritenuti incurabili.
Risolvere in modo semplice un problema attualmente gestito da squadre di specialisti con immenso vantaggio economico, significa mettere in pericolo il potere e il prestigio di un’istituzione quasi uguale a Dio. Nessuno può farlo impunemente, e infatti in Germania Hamer è stato radiato dall'albo dei medici per aver rifiutato di abiurare e incarcerato per aver prestato la sua opera gratuitamente. Attualmente vive in esilio.
La Nuova Medicina non è una nuova terapia, è un cambio di paradigma, una rivoluzione scientifica che ribalta i due presupposti ideologici del pensiero medico meccanicista: separazione (il nostro corpo è un estraneo) e diffidenza (la natura sbaglia – spesso e volentieri). Per correggere la natura abbiamo bisogno di tecnologia sempre più raffinata e costosa, per prevenirne gli errori dobbiamo aspettarci che sbagli e agire di conseguenza, come ha fatto Angelina Jolie in preda al panico preventivo. Che avrebbe fatto se i suoi nonni fossero morti di cancro al cervello??? Hamer, che la campagna diffamatoria di cui è vittima fa passare per pazzo (anche Wikipedia ha contribuito), ci vorrebbe riportare alla ragione con una teoria precisa ed elegante che poggia su un semplice presupposto: non è la Natura che sbaglia.
In realtà, dice Hamer, non c'è nessuna malattia, ci sono programmi dotati di senso che l'organismo mette in atto per far fronte ad un trauma improvviso, grande o piccolo, recepito senza la mediazione dell’intelletto e quindi vissuto al livello biologico come emergenza. Questo programma comprende due fasi: una di reazione immediata al conflitto e una di ritorno alla normalità. Nella prima fase, priva di sintomi, i tessuti vengono modificati, a volte danneggiati, per far fronte all’emergenza, e nella seconda fase vengono riparati, ma è un processo laborioso che può causare febbre, dolori, astenia eccetera. E’ proprio questa fase di riparazione ciò che consideriamo la malattia. Non c’è niente contro cui lottare, dovremmo invece capire, accompagnare, contenere se necessario, lo svolgimento del programma biologico con qualsiasi mezzo che funzioni. L'importante è individuare il trauma che ha scatenato l’allarme e risolvere il conflitto che, rimanendo in sospeso, ci mantiene in uno stato di malattia. Risolto il conflitto e contenuti i sintomi più fastidiosi o pericolosi, bisogna fare quello che la Natura ci chiede: riposare mentre Lei ripara i danni.
Ristudiando l’embriologia, Hamer risponde all’eterna domanda della medicina psicosomatica: perché un conflitto X diventa un’attività anomala in un organo e non in un altro?
Tessuti che si sviluppano da strati embrionali diversi (endoderma, mesoderma ed ectoderma) sono controllati da aree diverse del cervello e reagiscono in modo diverso all’emergenza: alcuni tessuti aumentano la propria funzione, altri la diminuiscono. Le esperienze traumatiche attivano, a seconda di come sono vissute, aree specifiche del cervello che a loro volta funzionano da relais per un organo o tessuto e non un altro. L’attivazione simultanea della psiche, del cervello e dell'organo è sia funzionale che simbolica. Ad esempio la perdita improvvisa di una persona cara si può esprimere in un cancro alle gonadi, cioè, simbolicamente, con l’iperattivazione degli organi riproduttori per rimpiazzare un membro della famiglia.
Se per von Weizsäcker “ogni processo organico deve essere concepito come simbolo e non come funzione” (vedi sopra, pag 14), per Hamer funzione e simbolo sono due facce della stessa medaglia.
Le corrispondenze fra esperienza traumatica e attivazione di una specifica area del cervello, stabilite da Hamer interrogando pazienti e analizzando migliaia di cartelle cliniche e TAC cerebrali, sembrano funzionare con precisione matematica. Questo non significa che la psiche sia riducibile a un meccanismo; ognuno vive i propri conflitti in modo diverso, e quindi non sarà attivata la stessa area cerebrale per chiunque viva un trauma dello stesso tipo. Anzi, un trauma che in una persona instabile e introversa potrà diventare un carcinoma, in una persona più equilibrata e socievole non causerà disturbi fisici. Uno dei requisiti necessari perché si sviluppi la malattia, infatti, è che il trauma sia vissuto in solitudine. Pur senza rifarsi all’Oriente e nonostante una laurea in teologia, Hamer supera la dicotomia mente-corpo. Non c’è soluzione di continuità, per fare un altro esempio, tra l’esperienza individuale di paura, disorientamento e abbandono e la ritenzione idrica, fenomeni tipici in caso di ospedalizzazione, che portano alla somministrazione a tappeto di diuretici e antidepressivi, con tutti i loro effetti collaterali, e all’aggravamento di quadri clinici già complicati, che migliorerebbero semplicemente permettendo a una persona cara di stare vicino al paziente. Hamer spiega la ritenzione idrica in maniera affascinante: si tratta della reazione più arcaica che esista, la reazione dell’organismo primordiale, acquatico, trascinato in secca dalle onde.
Hamer chiama questo fenomeno “conflitto del profugo” e tecnicamente lo spiega come un aumento di funzione dei tubuli collettori renali, che si sono sviluppati dall’endoderma e sono governati dal tronco cerebrale. I reni cominciano a trattenere i liquidi per convogliarli verso le zone che si stanno riparando (i sintomi, come già detto, appaiono nella seconda fase del programma biologico), aggravando così gonfiori e dolori. Per poter rilasciare i liquidi il paziente dovrebbe sentirsi al sicuro. Perciò la più importante raccomandazione terapeutica di Hamer è di carattere umano e non farmaceutico: “Fate sentire il paziente a casa”.
Tutte le cosiddette malattie, secondo Hamer, seguono cinque leggi biologiche valide per tutti gli esseri senzienti. Ne troverete un’esposizione dettagliata nel sito dell’ALBA (associazione leggi biologiche applicate): http://www.albanm.com/le-5-leggi-biologiche
Hamer cominciò la sua ricerca dal cancro per poi generalizzarne – a torto o a ragione – le conclusioni a tutte le malattie. L’occasione gli venne fornita dalla sua tragedia personale: il tumore che aveva sviluppato in seguito alla perdita del figlio adolescente Dirk, ucciso nel 1978 durante le vacanze estive dal principe ereditario di una famiglia reale in esilio. Il principe, che a quanto pare aveva sparato per uccidere un’altra persona, fu assolto dopo un lungo calvario di processi-farsa in cui i testimoni chiave furono messi a tacere e la confessione scritta dal principe ritrattata. Dirk non era morto subito, era stato portato, con enorme ritardo, in un ospedale francese e di lì in Germania, dove secondo Hamer fu ucciso con la morfina per cancellare la macchia permanente rappresentata da un invalido (gli era stata amputata una gamba) sul buon nome degli ex regnanti. Gli Hamer subirono per anni pressioni e minacce perché non cercassero di far valere i propri diritti; la madre di Dirk morì lentamente di dolore e il padre non è riuscito a mantenere la calma necessaria per vedere i complotti solo dove effettivamente si trovavano, infatti più tardi ha espresso opinioni politicamente scorrette che gli hanno fruttato condanne penali. E’ significativo che la nostra società sia pronta a perdonare azioni che in teoria disapprova, come omicidio, omissione di soccorso, detenzione di armi illegali, corruzione di magistrati e minacce, e invece sia lesta a condannare la vittima per delle parole avventate. Non ve lo dicevo che le parole sono importanti?
Se Hamer avesse il carattere mite e diplomatico di von Weizsäcker, invece di mettersi nei guai con affermazioni assurde che danneggiano l’immagine della Nuova Medicina, avrebbe trovato alleati e collaboratori… oppure sarebbe morto di quel tumore, da cui invece è guarito, che gli ha dato lo spunto per le sue scoperte.
Come von Weizsäcker, fin dalle prime esperienze ospedaliere Hamer si era “volto verso il dolore” di tutti gli esseri viventi con il desiderio bruciante di alleviarlo, ma, a differenza del precursore, ha anche scoperto i mezzi per farlo (o per lo meno ritiene di averli scoperti). Hamer non si vergogna di curare cani, gatti e caprette, infatti considera anche gli animali, e possibilmente le piante, capaci di vivere traumi emotivi e di reagire con un programma biologico sensato esattamente come noi. Non comprendendo la diagnosi, però, un cane o un gatto non saranno presi dal terrore del “brutto male”. Di conseguenza solo raramente un tumore in un animale presenterà delle “metastasi”, che secondo Hamer non sono altro che nuovi tumori causati da un nuovo trauma, per esempio la svalutazione di sé, di cui sono capaci tutti i mammiferi. Chi si svaluta dice alla Natura: “Non sono più adatto a sopravvivere”, e la Natura lo prende in parola.
Nel caso di noi umani, la diagnosi del cancro uccide più del cancro stesso, e quello che non ha fatto la diagnosi lo fanno le cure. Secondo Hamer la proliferazione cellulare che avviene in un organo, anzi in un preciso tessuto di un certo organo, non è un processo casuale e suicida di crescita illimitata, bensì un processo finalizzato a incrementare la funzione di quel tessuto. Ad esempio la paura di morire causa proliferazione negli alveoli polmonari per poter incamerare più aria. Quando l’allarme sarà cessato, cesserà anche la crescita anomala e il tumore verrà demolito da batteri, con tosse ed espulsione di muco, o incistato. Gli unici interventi ragionevoli dovrebbero essere mirati al contenimento dei sintomi che sopravvengono nella fase di riparazione. Se il tumore cresce troppo e causa occlusioni, deve essere almeno parzialmente rimosso. I problemi veri e propri cominciano con l’intervento della medicina meccanicistica che scopre un processo di riparazione in atto o delle innocue cicatrici lasciate da un processo di riparazione già concluso, le interpreta come un cancro incipiente e inizia a “curare” quello che la Natura aveva già riparato o quasi finito di riparare. Chemio e radioterapia e interventi chirurgici devastanti interrompono lo svolgimento del programma biologico e causano nuovi traumi che a loro volta causano recidive, fino a uccidere il paziente.
La missione che Hamer sente di avere è porre fine a queste inutili sofferenze, demolire un fortilizio di dogmi, pregiudizi e ipotesi pseudoscientifiche costruito su dati che potrebbero essere interpretati in maniera molto più semplice e coerente.
Per chi scelga di dar credito alla Nuova Medicina, diventa essenziale coltivare la personalità in modo da far fronte agli inevitabili traumi e conflitti della vita nel modo più equanime possibile. La Natura ci chiede, secondo Hamer, di risolvere i conflitti al più presto perché non si trasformino in malattie pericolose. Ognuno può monitorare se stesso e risalire al trauma che ha dato origine a un’eventuale malattia. Far finta di non prendersela, naturalmente, non aiuta. Aiuta molto, invece, avere una solida rete sociale, condividere i rospi invece di ingoiarli stoicamente in solitudine, come i nostri nonni e soprattutto nonne hanno fatto per millenni, condannandosi a un mare di sofferenze fisiche e mentali.
La teoria di Hamer è più conosciuta di quanto i medici che la conoscono vogliano ammettere: per loro può essere pericoloso anche parlarne ad alta voce. L’istituzione deve conservare il prestigio e l’autorità salvifica di cui si è rivestita; le case farmaceutiche e i produttori di macchinari tanto sofisticati quanto, secondo la Nuova Medicina, inutili, non vogliono rimetterci nulla.
Hamer e i suoi seguaci affermano però che il suo sistema è infallibile, che spiega tutte le malattie dalla sclerosi multipla al raffreddore, che non si tratta nemmeno di una teoria ma di una serie di fatti comprovabili e molte volte confermati. Stanno trasformando anche le cinque leggi biologiche in dogma? Questo mi sembra pericoloso: chi si batte contro i dogmi non dovrebbe assumere un atteggiamento dogmatico. E poi perché una teoria non dovrebbe essere tale? Il metodo scientifico produce solo teorie, non può produrre verità rivelate. Ogni pensatore vorrebbe spiegare l’universo intero con la propria teoria, ma l’Universo gioca a nascondino e nessuno riesce ad acciuffarlo…
La teoria di Hamer ha una grande coerenza interna; ha anche delle prove cliniche, ma ne avrebbe di più e sarebbe più aggiornata se la scienza ufficiale permettesse all’autore di condurre i suoi studi con un gruppo di collaboratori, sperando che dimostri da solo di aver torto e accettando sportivamente la spiacevole eventualità che abbia ragione, anche se solo in parte. Se non fosse braccato come un criminale, Hamer potrebbe affinare e mettere a punto la sua teoria temperando quelle che sembrano esagerazioni buttate lì per polemica. Sarà dimostrabile che il sistema immunitario come sistema non esiste? O che non esistono sostanze cancerogene? Che l'unica causa di qualsiasi malattia è un trauma, anche se piccolo? Un piccolo trauma, a posteriori, si troverà sempre, ma perché arrampicarsi sugli specchi per spiegare il 100% dei casi con una teoria che ne può spiegare elegantemente il 75,5 %? Spiegare tutto non è possibile, ed è bene che sia così: chi creda di aver spiegato tutto si ferma e si mette a dormire sugli allori.
Hamer non si cura dell’alimentazione, proprio come i medici meccanicisti vent’anni fa. Però, se si considera che l’effetto del cibo sull’organismo è dovuto in buona parte ad una situazione già stabilizzata, ai pregiudizi, alle convinzioni e all’energia disponibile, allora non è detto che Hamer non abbia una fetta di ragione anche in questo.
Tra quelli che conoscono e usano la Nuova Medicina c’è purtroppo chi ne abusa rubando idee, infiltrando nella teoria elementi estranei (per esempio il maschilismo italiota che fa passare per “biologica” la sottomissione della donna) o arricchendosi con corsi e consulenze costosissimi che fanno della nuova medicina un lusso riservato a pochi snob, cioè il contrario di quello che doveva essere: uno strumento messo gratuitamente a disposizione dell’umanità per liberarsi di sofferenza e paura. Nel nome di Hamer sono stati forniti consigli che Hamer stesso non avrebbe dato, come quello di non fare niente e aspettare che il sintomo passi. A volte bisogna passare all’azione, anche se per “azione” non si intende mai una campagna militare. Nella Nuova Medicina fare una diagnosi e stabilire una terapia richiede più lavoro che nella medicina meccanicistica: il medico deve interagire con il paziente, non dominarlo, non può visitarlo chiacchierando con gli amici al telefono e non può nascondersi dietro analisi di laboratorio e test diagnostici. Non ci sono protocolli, i fattori di cui tenere conto sono moltissimi perché molto raramente troveremo un solo processo bifasico in atto, quasi sempre ce ne sono diversi che si sovrappongono, insieme a conflitti che non si risolvono mai.
Non è vero, perciò, che se la Nuova Medicina si diffondesse non ci sarebbe più bisogno di medici. Ci sarebbe bisogno di medici più attenti, più dediti alla loro missione e più disposti a “insegnare” ai propri pazienti a guarirsi da soli, meno medicine, meno trattamenti complicati e più trattamenti semplici, meno tecnologia e più buon senso, ma i medici non rimarrebbero mai disoccupati.
Inoltre le persone che credono solo nella pillola magica e non vogliono responsabilità per la propria salute ci saranno sempre, e quindi ci sarà sempre lavoro anche per i medici che visitano con la cornetta del telefono incollata alla spalla.
Quello che è ingiusto è che la medicina meccanicistica occidentale rappresenti una specie di regime totalitario che non offre scelta al paziente convenzionato; solo chi ha qualche soldo da parte e coraggio da vendere può permettersi di scegliere come e da chi farsi aiutare a superare le proprie cosiddette malattie.
La Nuova Medicina è un segnale di pace con la natura, unisce tutto ciò che vive in un cerchio in cui la collaborazione è più importante della competizione. I microbi che abbiamo imparato a temere sono, secondo Hamer, nostri simbionti e collaboratori; i virus non causano malattie. Anche se non fosse vero, crederlo elimina la paura di essere sempre sotto attacco. Quando non c’è paura il livello di energia rimane alto e i patogeni non entrano, direbbe la medicina cinese. E così, di dritto o di rovescio, una nuova idea può cambiarci la vita.
Nel sistema di Hamer l’unico agente patogeno è nella nostra mente. Radiazioni e veleni possono uccidere o danneggiare, ma non causare un cancro. Se la natura non sbaglia, interpreta però biologicamente un evento conflittuale e cerca di risolverlo incrementando o ulcerando tessuti. Cerca di produrre più latte, nel caso di una donna che senta di dover provvedere a un figlio bisognoso di aiuto, più urina nel caso di chi voglia eliminare un problema o più bile per digerire un boccone indigesto. Cose che ci aiuterebbero se tutti i conflitti fossero risolvibili con latte, urina e bile. Insomma, l'organismo mette in campo programmi che hanno un senso biologico ma non risolvono i conflitti complessi di una società complessa; i conflitti dobbiamo risolverli noi al livello sociale e psicologico e poi comunicarlo all'organismo attraverso azioni simboliche dotate di forza sufficiente a fargli capire che il pericolo è passato e si può entrare in fase di riparazione. Con molta prudenza se il conflitto è durato a lungo, perché in questo caso la crisi che tipicamente sopravviene a metà della fase di riparazione potrebbe essere troppo violenta. Se il conflitto si rinnova molte volte, gonfiando e sgonfiando sempre la stessa area del cervello, il tessuto si logora e si può arrivare all’ictus. Le “malattie” non uccidono se svolgono il loro ciclo una volta sola e i conflitti vengono risolti in tempi brevi; a uccidere sono le recidive.
L’interpretazione hameriana dei traumi che danno origine alle malattie non avviene con i mezzi della psicologia del profondo ma abbastanza alla buona, senza scavare eventuali traumi rimossi. VW non sarebbe stato d’accordo, lui tifava per la psicoanalisi freudiana, ma aveva anche intuito che la medicina psicosomatica non poteva rubare agli psicoanalisti il mestiere di rimestare complessi, e aveva buttato lì senza spiegarla un’altra delle sue intuizioni di cui forse non capiva neanche lui la portata: “Penso che con la medicina psicosomatica la scienza medica e la terapeutica non diventino affatto più complesse, bensì che esse diventino nuovamente più semplici” (VW 1949, p. 142) VW lo ha detto e Hamer lo ha fatto.
Mentre tutti cercano nuove terapie per mali la cui esistenza è data per scontata sia dai chirurghi del policlinico Torquemada che dai neosciamani della Bioenergetica esseno-tibetana, Hamer ci spiazza: stiamo combattendo contro dei miraggi. La migliore soluzione di qualsiasi problema, la più semplice, è rendersi conto che il problema non esiste. E se invece esistesse? Prima di fare un salto nel vuoto scommettendo su Hamer, il pensiero corre a swami Neel Kamal, che, rifiutata la chemioterapia, si affidò alla cosiddetta medicina naturale e morì. Che cosa sarebbe successo se avesse accettato la chemio? Forse sarebbe morta lo stesso, soffrendo di più. Che avrebbe fatto se avesse conosciuto le cinque leggi biologiche? Sarebbe guarita se avesse praticato intensamente il Guo Lin, una tecnica di qigong anticancro che si dice faccia miracoli? Non lo sapremo mai. Hamer non rappresenta certo la medicina “naturale”, non gli interessano né l’omeopatia né la medicina cinese, indiana, psicosomatica o qualsiasi altra medicina esistente. Purtroppo la sua teoria non è suffragata né da millenni di esperienza né dalle statistiche e dai test diagnostici della medicina ufficiale, che sembra infallibile grazie alla sofisticazione dei suoi strumenti e alle sue promesse di scoperte future. Eppure, per quanto la diamo per scontata, anche la medicina ufficiale è un modo come un altro di vedere le cose, e i suoi sbagli riempiono i cimiteri. Da profani, non possiamo stabilire chi abbia ragione quando gli esperti litigano fra loro, ma se guardiamo al presente e non al futuro, ai fatti e non alle promesse, ci accorgiamo che tutte le scuole di pensiero prendono cantonate – e ogni tanto fanno centro.
Forse un giorno non avremo più bisogno di medicina, riusciremo a mantenerci in salute e a curarci da soli. Dobbiamo imparare a farlo, a cominciare da subito, anche se per il momento abbiamo ancora bisogno di appoggiarci ai medici per decifrare i messaggi che mandiamo a noi stessi.
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CONCLUSIONI
La medicina meccanicista ha partorito e battezzato una folla sterminata di mali; si può quasi andar fieri di avere un Sarcoma di Kaposi o il Morbo di Crohn o semplicemente l'Ipertensione: il prototipo della situazione che diventa una cosa. Se invece ci chiediamo, con Hamer, che cosa l'organismo stia facendo
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in questo momento e perché, la folla dei mali si riduce ad alcune attività semplici: riduzione, incremento, incistamento, espulsione. Queste quattro attività si ritrovano anche nella medicina cinese e in quella indiana, che le vedono dal punto di vista energetico: eccesso, deficit, eliminazione, messa in latenza. Combinandosi, le attività semplici generano situazioni complesse.
Lo spirito dei tempi ci sta traghettando verso un nuovo modo di pensare in cui ci troviamo sempre meno in balia del caso e dei microbi, ma sempre più in balia di una mente inconscia tanto potente quanto incontrollabile, che interpreta gli eventi a modo suo e prende decisioni senza dare spiegazioni.La parte più profonda della mente, che controlla il corpo ma si esprime solo per simboli, ci sembrerà un’estranea finché non avremo capito che la mente è una e dietro le sue stranezze ci sono pur sempre io. La mente più antica è primitiva ma esperta, spesso i problemi sorgono perché il giovane intelletto non le dà ascolto. La mente non è un meccanismo e riesce sempre a sorprenderci. Nel suo aspetto cosmico è la creatrice del cielo e della terra; nella mitologia greca è rappresentata da Atena e in quella indiana da Durga, dee inesauribilmente attive e creative, sterminatrici di demoni e mostri. Questa potenza invincibile, capace di creare e di distruggere, fa parte di noi, e noi facciamo parte di Lei. Se non diventeremo amici di noi stessi non avremo accesso alla stanza dei bottoni e per liberarci dalle malattie che non sappiamo di esserci create continueremo a ricorrere a rimedi esterni. Decotti e chirurgia funzioneranno più o meno bene ma, per quanto riguarda l’ evoluzione della coscienza, ci lasceranno dove ci hanno trovati, pronti e disposti ad ammalarci di nuovo.
Dal punto di vista di chi già vive nell’universo a cucù, le malattie si comportano in qualsiasi modo vengano interpretate e reagiscono nel modo in cui ci si aspetta che reagiscano. Più le consideriamo pericolose più lo sono, se manteniamo la calma si ridimensionano. Una diagnosi infausta è la più catastrofica delle profezie autorealizzanti. Le profezie si avverano perché sono state fatte, se qualcuno ci crede. Più gente ci crede, e con più convinzione ci crede, più i fatti dimostreranno che la profezia era giusta. Sottilmente, insensibilmente, il nostro comportamento favorisce l’avverarsi di ciò che ci aspettiamo; prestiamo attenzione ai minimi segnali di conferma ed ignoriamo gli altri. Astrologi e chiromanti lo hanno capito, i medici ancora no.
La profezia autorealizzante è stata studiata a fondo dalla psicologia sociale americana fin dagli anni ‘50. Non è difficile accettare l’idea che si autorealizzino previsioni rilevanti solo al livello psicologico e relazionale, ma chi è disposto a credere che le cellule si allineino ai pensieri? Chi crede nelle cose, nella materia stabile, isolata, impenetrabile, non lo accetterà mai. Per chi vive nella forma che è definitivamente diversa dal vuoto, la forma si modifica solo con il bisturi.
E’ difficile orientarsi nell’universo a cucù. Se le cose sono come sono perché noi crediamo che lo siano, basterebbe smettere di crederci per cambiare tutto? Troppo Semplice! Semplice ma non facile, provare per credere. Quello che abbiamo creduto per millenni è la nostra realtà. Cambiare convinzioni dall’oggi al domani sarebbe come assumere il controllo di un Frecciarossa lanciato a 250 km orari, senza sapere dove mettere le mani. Impossibile, ma, se ci accontentiamo di un miracolo al rallentatore, possiamo imparare a pilotare un treno, cominciando preferibilmente a treno fermo.
Una configurazione genetica, una sofferenza nervosa, l’attività elettrica di una zona del cervello, la presenza di un ormone nel flusso sanguigno, la presenza di batteri in una zona del corpo, si possono interpretare come causa o come conseguenza di un pensiero o di un’emozione, ovvero come sincronicità: due aspetti dello stesso fenomeno. Viviamo a seconda di come stabiliamo le relazioni di causa ed effetto: più cerchiamo la causa nella materia impenetrabile, meno potere abbiamo, più la cerchiamo nella mente plasmabile e plasmatrice, più abbiamo potere – e responsabilità.
A suo tempo ho studiato un tomo di diverse centinaia di pagine
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sui metodi della psicoterapia; ce n’è una fungaia, l’imbarazzo della scelta è grande ma alla fine dei monitoraggi stanno meglio i pazienti che si sono sentiti importanti per il terapeuta, indipendentemente dalla scuola di pensiero del suddetto. La medicina non è molto diversa dalla psicoterapia. Gabriella Mereu ci spiega perché:
Il principale componente dell'eros è il piacere. La malattia è causata da una mancanza di eros, cioè da un dis-piacere. Il placebo è qualsiasi situazione terapeutica che portando un piacere, determina una restituzione dell'eros. Per questo motivo tutte le terapie hanno un risultato, almeno temporaneo, indipendentemente dal mezzo terapeutico, se al malato piace la relazione terapeutica. (La malattia: la trappola dell’Eros p. 118)
Non importa che il catalizzatore della guarigione sia un farmaco, un cavolo, un digiuno, una novena, un tuffo nell’acqua benedetta o l'imposizione delle mani di un guru. La guarigione viene da noi stessi nel momento in cui capiamo, consciamente o inconsciamente, che non c’era niente da guarire. La malattia è una maschera che portiamo, forse per nascondere qualcosa che riteniamo inguardabile, forse perché l’animale in noi continua a cercare di risolvere i problemi a modo suo. La malattia di una persona può servire a un’altra per sentirsi a posto, oppure serve al malato stesso per scaricare responsabilità che non vuole prendersi o ricevere attenzioni che non riceverebbe altrimenti.
La materia fisica è l'effetto di tutte le cause, quindi può essere trasformata agendo sulla materia stessa, più facilmente agendo sulla sua matrice, cioè sull'energia, ancor più facilmente agendo attraverso la mente, che è la matrice dell'energia. In fondo è sempre la mente che agisce, perché decide in cosa credere e quali strumenti usare. Il difficile è affinare la mente. La mente che saltella di palo in frasca, anche se recita preghiere o crede di credere in qualcosa, non può nulla, meglio che cerchi di curare il corpo con le pillole; la mente concentrata, allineata con se stessa, è in grado di scavalcare le pareti della terza dimensione e “riprogrammare” il corpo direttamente o attraverso la matrice energetica. Per “mente allineata con se stessa” intendo la mente che abbia stabilito un accordo tra conscio e inconscio, dove intelletto e istinto si sostengano e si indirizzino a vicenda.
Nessun metodo di cura è perfetto, giusto, sbagliato o adatto a tutti, ma per guarire definitivamente ci deve essere un cambiamento di prospettiva. Nessuno può cambiare prospettiva per un altro o sapere se l’altro abbia cambiato prospettiva o no. Certezze non ne abbiamo, non ne hanno neppure gli esperti. Ancora non so perché sia morta swami Neel Kamal, ma ho capito finalmente la frasetta che mi sembrava un po’ sciocca quando cominciai a praticare qigong:
FUNZIONA SE CI CREDI
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BIBLIOGRAFIA
Beliveau, Richard e Gingras, Denis 2006
L’alimentazione Anticancro
Sperling & Kupfer editori
Boschi, Giulia, 2003
Medicina cinese: la radice e i fiori
Casa editrice Astrolabio
Campbell, T. Colin, 2011
The China Study
Macro Edizioni
Hamer, Ryke Geerd, 2000
Il cancro e tutte le cosiddette malattie
Edizioni Amici di Dirk
Jung, Carl Gustav 2007
Scritti Scelti
a cura di Joseph Campbell
Edizioni Red
Kaptchuk, Ted 1988
Medicina cinese, Fondamenti e metodo, la tela che non ha tessitore
Edizioni Red
Lipton, Bruce 2008
La Biologia delle Credenze
Macro Edizioni
Mereu, Gabriella, 2005
La malattia: la trappola dell'eros
Il frasario Mereu, una terapia erotica
Pfister, Marco Cella, Simona 2013
La malattia è un'altra cosa!
Introduzione alla comprensione delle cinque leggi biologiche scoperte dal dr. Ryke Geerd Hamer
Secondo Natura Editore
Sacks, Oliver 2011
Risvegli
Edizioni Adelphi
Sacks, Oliver 2011
L’Occhio della Mente
Edizioni Mondadori
Servan-Schreiber, David 2013
Anticancro
Sperling & Kupfer editori
Spinsanti, Sandro 1988
Guarire tutto l'uomo,
la medicina antropologica di Viktor von Weizsäcker
Edizioni Paoline.
von Weizsäcker, Viktor 2000
Filosofia della medicina
a cura di Thomas Henkelmann
Edizioni Angelo Guerini.
Yogananda Paramahansa 1980
L'eterna Ricerca dell'uomo
Ed. Astrolabio.
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