RESILIENZA 2 (21.07.2021) (di Cira Almenti - Estate 2021) |
Che esista o non esista un’entità, come ad esempio un subdolo governo mondiale, biecamente decisa a far dell’umanità uno zerbino uniforme, finora non c’è riuscita. Ricordo una storia di Paperino in cui dei robot cercavano di prendere il potere sostituendosi alle persone, di cui imitavano perfettamente l’aspetto. Ma erano robot e la loro fredda logica era tutta d’un pezzo. Archimede Pitagorico, per smascherarli, cominciò a comportarsi in modo illogico, girovagando per Paperopoli con un’utilitaria sulle spalle. Nel tentativo di dare una spiegazione razionale al suo comportamento il cervello meccanico dei robot esplodeva. Grazie alle innumerevoli utilitarie che si porta sulle spalle, l’umanità trova un rotto in ogni cuffia e riesce in extremis a salvare il salvabile, come abbiamo visto tante volte, nelle storie di Paperino e nei film americani. Persino nella realtà non virtuale. La realtà non virtuale sembrava destinata a scomparire grazie al Covid 19. Il sogno del signor Microshift e dei suoi fratelli stava per realizzarsi: tutti i consumatori chiusi in casa, attaccati 23,5 ore al giorno a un qualche dispositivo “intelligente” che permettesse loro di comunicare, lavorare, fare la spesa e immaginare a 3D un mondo esterno che non avrebbero visto mai più. A emergenza finita niente sarebbe stato come prima: abituati a fare tutto da casa, doveva ormai sembrarci molto più comodo e addirittura più “green” non doverci spostare per andare al lavoro. Niente viaggi inquinanti, più tempo per lo sport e gli hobby (virtuali)! Invece… da quando si lavora da casa gli orari si sono allungati come fili di mozzarella. Le aziende non devono più concedere margini per viaggi e spostamenti; la pausa pranzo non è più nemmeno una vera pausa e l’ultima riunione dura fino a notte, la spina non si stacca mai. Si cena alle dieci, la digestione peggiora, il sonno non arriva, la ciccia aumenta. Microshift & brothers sperava forse che le giovani generazioni, quelle che sono nate con uno smartphone al posto della placenta, che riescono ad andare in bicicletta leggendo whatsapp, si sarebbero abituate molto in fretta alla clausura e alla digitalizzazione totale e avrebbero anche perso il vizio di andare in bicicletta. Si sperava che non volessero più recarsi a scuola di persona, che si abituassero presto all’immobilità e si intubassero nei visualizzatori di realtà virtuale… La digitalizzazione è l’ultima frontiera del nostro ambiente evolutivo. Non ci evolviamo più in un ambiente naturale, ormai lontano anni luce da noi, nemmeno in un ambiente sociale, come è stato per millenni. Ora siamo – dovremmo essere – nella postsocietà, la società che fisicamente non esiste. Gli individui e i gruppi meno rapidi e flessibili nell’assimilare sempre nuove tecnologie vengono emarginati e gradualmente eliminati escludendoli da ogni servizio, fornito sempre più spesso solo online. Questi servizi sono presentati come facili e intuitivi ma non lo sono, spesso si bloccano e ognuno funziona in modo leggermente diverso dagli altri, così che risulta impossibile imparare a gestirli tutti con una sola procedura. Inoltre vengono continuamente aggiornati: ogni pochi minuti cambiano le regole del gioco. Nel tentativo di capirci qualcosa si passano ore e ore seduti in posizioni poco ergonomiche davanti a uno schermo retroilluminato che affatica gli occhi, immersi in una selva di campi magnetici sempre più potenti, che cuociono a fuoco lento il cervello. Ogni tentativo di resistenza alla digitalizzazione universale viene bollato dall’ideologia dominante come complottismo, specialmente se corredato di studi scientifici sulla pericolosità del nuovo stile di vita. C’è gratificazione nel ricevere messaggi, nel sentirsi connessi in modo facile e nell’interagire con uno schermo, le cui immagini stimolano aree del cervello ricche di ricettori di dopamina, un ormone che fra le sue molte funzioni ha quella di produrre una sensazione piacevole quando vengono soddisfatti i bisogni vitali. (Vedi Mencagli e Nieri "La terapia segreta degli alberi" p. 33-34). La sensazione di vago piacere dovuta alle continue scariche di dopamina crea dipendenza. La conseguente difficoltà di concentrazione, l’irritabilità e la stanchezza sono il prezzo da pagare per rimanere connessi. Ma qualcosa continua ad andare storto. Anche nel deserto ideologico più appiattito dallo schiacciasassi di nome paura, resta sempre da qualche parte un seme di raziocinio. Da quel semino rinsecchito nasce alla prima pioggia un movimento in controtendenza. La controtendenza non trionfa mai o, se trionfa, viene subito annacquata per diventare tendenza, ma finora, per un pelo asfittico, è riuscita ad evitare il disastro. Gli adolescenti escono in massa, si ammucchiano nei mezzi pubblici, si sbaciucchiano senza mascherina, scendono in strada a dimostrare contro la Didattica a Distanza che discrimina, divide e ingobbisce. I bambini vogliono inesorabilmente giocare all’aperto. Quelli che sono stati rinchiusi più brutalmente diventano aggressivi, si tagliuzzano, fumano, tentano il suicidio… Genitori e insegnanti aborrono la DaD, i lavoratori in “smart working” si accorgono di essere sempre più alienati, indolenziti e malmessi, gruppi di volontari aiutano gli anziani a sbrigare le pratiche online, gli sportelli non virtuali restano aperti e non vogliono saperne di scomparire, la gente ci va, ben contenta di parlare con impiegati umani. Gli uffici postali straripano ancora di clienti. Tutti vogliono uscire e fin dagli abissi delle pubblicità di abbigliamento risuona il sospiro: “Torneremo ad abbracciarci!” I più coraggiosi si abbracciano già. Se l’industria farmaceutica ci vuole malati e l’industria digitale ci vuole perennemente assorbiti dai suoi dispositivi, l’industria del turismo ci vuole sani e in grado di spostarci e i ristoratori ci vogliono sparpagliati sulle pedane nuove di zecca che si stanno materializzando davanti ad ogni locale, con tavolini e ombrelloni per mangiare all’aperto. Fortunatamente nell’economia esistono ancora interessi contrastanti, che impediscono ai governi di calcare la mano più di tanto con le misure restrittive, limitano la realizzazione dei sogni più arditi di Microshift e ipotetico governo mondiale e forniscono un piccolo margine di sopravvivenza al buon senso e a quel che resta del pio ideale dei diritti umani. Non siamo ancora esseri disincarnati, per quanto la nostra carne sia profanata da campi magnetici sempre più intensi, sostanze sempre più tossiche, polveri sottili e subdoli microchip. Non siamo in grado di immaginare una realtà non fisica fatta solo di mega e giga e quindi la realtà virtuale è pur sempre una copia della realtà sensibile con i suoi paesaggi, così come la percepiamo con i sensi. Nella realtà virtuale si usano quasi esclusivamente la vista e l’udito, i sensi più giovani, mentre i sensi più antichi: tatto, olfatto e gusto, più strettamente connessi con le funzioni istintuali, restano inerti e questo è uno dei motivi per cui la realtà virtuale non ci soddisfa fino in fondo, non ci rilassa, ci fa dormire male, ci rende irritabili e frustrati. Il corpo è un’entità biologica troppo antica, troppo intelligente per lasciarsi fuorviare dall’ultimo arrivato. Un’ entità biologica non sopravvive nell’immobilità e nell’isolamento. Nasce da uno scambio psicofisico e ha bisogno di contatto con il suo ambiente. Contatto reale, non virtuale. Non è possibile respirare, prendere il sole, mangiare e bere online, bisogna farlo in presenza, con il proprio corpo. Un organismo immobile decade, si irrigidisce, si piaga, lentamente si disorganizza e cessa di funzionare. E’ chiamata “biofilia”, amore per la vita, la necessità vitale di sincronizzarsi con i ritmi del cosmo vivo che ci circonda e ci costituisce. Una nuova branca della medicina preventiva, nata in Giappone con il nome di shinrin yoku e nota nei paesi anglosassoni come forest bathing (bagno nella foresta ovvero passeggiata salutare in un luogo boscoso), studia scientificamente gli effetti positivi dell’ambiente silvano sulla salute. Gli alberi producono in varia misura sostanze volatili (monoterpeni e isoprene) capaci di abbattere lo stress cronico e stimolare la produzione di linfociti. Non è un caso che questa ricerca emerga e prenda piede proprio adesso che l’umanità è diventata una specie urbana, sempre più malata in conseguenza del “tecnostress” (termine coniato nel 1984). La digitalizzazione totale non può essere realizzata perché sarebbe letale per tutti, non solo per quella parte dell’umanità che i governi desiderano eliminare per ridurre la sovrappopolazione. Microshift, dovrà accontentarsi di vedere quadruplicati i suoi guadagni invece che quintuplicati come sperava… Forse siamo protetti da forze benevole e pietose, forse la natura stessa dell’esistenza esclude la possibilità di asservire completamente esseri dotati di un barlume di libero arbitrio. Se dobbiamo credere a Paperino e alla tragedia greca, c’è un limite alla tracotanza di chiunque creda di saperne di più della natura. Fin qui Microshift, e non oltre! per saperne di più: http://www.oasizegna.com/it/oasi-verde/forest-bathing-shinrin-yoku-perche-fa-bene_8376.htm Cira |