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Pensiero con la coda 2 

(di Cira Almenti - Estate-autunno 2009)

scorpio

LA SINDROME DELL'ELICOTTERO

Guarda lassù quell’elicottero, come procede elegante di fianco. È il pronto soccorso?   No, figuriamoci. Dopo i tagli alla spesa pubblica, di elicotteri glie ne sono rimasti così pochi che li tirano fuori una volta ogni settantadue emergenze. Questo è uno dei tanti elicotteri che sorvegliano le strade quando passa un corteo diplomatico, preceduto e seguito da una schiera di poliziotti. Eccoli. Sembra un convoglio militare che avanza in territorio nemico, mancano solo i carri armati. La gente guarda in silenzio, chissà se qualcuno pensa quello che penso io. Se chi paga le tasse potesse decidere che cosa fare dei propri contributi, preferirebbe invertire le proporzioni: più elicotteri per la nostra sicurezza e meno per quella di un’elite lontana, parassitaria e odiata.

  Se non fosse odiata, non avrebbe problemi di sicurezza. Se non spendesse i nostri soldi per risolvere i propri problemi, di sicurezza ed altro, non sarebbe odiata. Come siamo finiti in questo vicolo cieco?

  Ai tempi delle idee platoniche i governi esistevano semplicemente per amministrare i beni pubblici di comunità troppo numerose permettersi tutti intorno a un tavolo. Bisognava per esempio decidere dove comprare tre nuovi elicotteri per il pronto soccorso e chi chiamare per far riparare lo sportello difettoso di uno dei  vecchi, dove reclutare tre nuove squadre di medici e infermieri volanti e quanto pagarli per gli interventi al volo. Un gruppo di persone oneste scelte dalla comunità si occupava di queste cose per un paio d'anni, e poi veniva scelto un altro gruppo. Tutto andava bene… Poi, come fu come non fu, trovandosi soli con i nostri soldi, gli amministratori decisero di risparmiare qualcosina sugli elicotteri e sugli stipendi dei medici volanti per ricompensare se stessi del servizio che ci facevano. Poi decisero di alzarci le tasse e poi di tagliare le sovvenzioni agli elicotteri e al personale sanitario per riuscire a mettere da parte qualcosina per i loro figli e nipoti. Com'è come non è, il gruppo di amministratori che doveva servire da strumento per l'uso efficiente delle risorse a disposizione è diventato un fine in sé.

  Non paghiamo più le tasse per avere scuole, ospedali e giardini ma per mantenere nel lusso e negli agi un'elite distante, parassitaria e odiata, che ha potere di vita o di morte su di noi, direttamente (pena di morte) nel caso dei governi totalitari, indirettamente (tagli alla spesa pubblica) nel caso dei governi dal volto democratico.

  Dovremmo noi fare la rivoluzione? Noi chi? Riusciremmo mai a metterci d’accordo sul da farsi senza un leader carismatico? E anche se questo leader ci fosse, chi ci garantisce che, una volta solo con i nostri soldi, non farebbe quello che hanno fatto tutti prima di lui? La storia non ci dice niente di buono al proposito, e se ci guardiamo intorno attentamente ci accorgeremo che, in piccolo, la stessa inversione dei mezzi e degli scopi accade in ogni condominio, in ogni istituzione, appena quei due o tre che si riuniscono nel nome di una bella idea diventano cinque o sei. Nell'assemblea vengono scelti un presidente e un segretario, e questi due, anche se fossero brave persone, si accorgono all'istante che anche una fettolina di potere reca una fettolina di privilegi. E che qualcosina si può fare per ingrandire quelle due fettoline.

  L'epoca delle idee platoniche ci fu solo in teoria, in pratica segretari e presidenti si sono messi d'accordo per invertire mezzi e scopi fin da quando le panche dell'assemblea erano di pietra.

  Non resta che rassegnarsi? Rassegnandoci facciamo un gran favore alla nostra elite che si dà tanto da fare e raccoglie solo ingratitudine. L'elite al potere teme solo una cosa: di venir sostituita da un'altra elite. Per loro sarebbe un cambiamento catastrofico, ma per noi non cambierebbe gran che. Nel giro di una settimana la nuova elite diventerebbe identica, precisa e spiccicata a quella vecchia.

  Non volendo fare favori a squali e sanguisughe, possiamo, nel nostro piccolo, rivoluzionare l'unica cosa che abbiamo davvero il potere di rivoluzionare: noi stessi. È la rivoluzione più difficile di tutte, e non cambierà il mondo in tempi brevi, ma ci metterà in grado di cominciare la ricostruzione su presupposti diversi da quelli che hanno fatto fallire questo tentativo di civiltà ormai, temo, irrecuperabile.



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