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Pensiero con la coda 

(di Cira Almenti - Inverno 2006-2007)

scorpio

Pensiero con la coda inverno 06-07

 

uniti, per Dio, chi vincer ci può?


Ripensandoci, mi pare ancor più strano di quanto mi paresse già a luglio: in undici hanno giocato, una nazione ha vinto.
Che ha fatto per vincere? E che cosa ha vinto?
I ricchi sono rimasti ricchi, con buone probabilità di continuare ad arricchirsi, e i poveri sono rimasti poveri - ancora più poveri dopo essersi dissanguati con trombe, tromboni, razzi, pranzi, cene, cenoni, fischioni e mortaretti. L’autostima dei dissanguati però è salita, così per un po' riposeranno sugli allori e non romperanno le scatole a quelli che l'autostima ce l'hanno alle stelle chiunque faccia gol, mentre sono aumentate l’invidia e il rancore dei poveri d'oltralpe che non hanno potuto dissanguarsi, poveretti. Un altro po’ di veleno si è accumulato negli interstizi immaginari che dividono isole inesistenti contrassegnate da stracci colorati, ma per un breve istante anche i più italofobi tra i nostri vicini del nord hanno sventolato felici il tricolore, dimentichi del fatto che alcuni dei campioni vittoriosi non erano esattamente di pura ed eletta razza padana. Separatisti, scismatici, federalisti, indipendentisti e internazionalisti si sono abbracciati, giubilanti ed immemori dei passati rancori, nell'estasi del novecentonovantasettesimo minuto. La marcetta orripilante di cui fino a un giorno prima ci si vergognava a morte, il giorno dopo è diventata una bella melodia di cui tutti vanno fieri.
A coloro che hanno reso possibile tanta vittoria verranno sicuramente perdonate molte marachelle: con la villa e lo yacht o le pezze al sedere siamo tutti fratelli d'Italia, stringiamci a coorte, volemose bene e cantiam tutti insieme:

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferrucci
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò!
Stringiamci a coorte
siam pronti alla morte (be', insomma...)
siam pronti alla morte
Italia chiamò!

PADRONI DEL MONDO  Si leggeva quest'estate su un muro della Garbatella, e poi: IL MONDO È AI PIEDI DEI NOSTRI CAMPIONI e subito sotto: BOIA CHI MOLLA. Le tre frasi erano state scritte di getto, chiaramente dalla stessa mano, ed erano accompagnate da un simbolo che somigliava molto ad un pallone.
Mi sembra di aver già letto una di quelle tre frasi negli anni ottanta. Era uno slogan "patriottico", se non ricordo male. Sui giornali, nei dì dell'ebrezza, aleggiavano altre espressioni altrettanto patriottiche: “galletti”, “arroganza teutonica” e “ingiustificate ambizioni africane”. Ci sono momenti in cui i giornalisti hanno la licenza poetica.

Ripensandoci a freddo, non è strano? Undici tizi che io e te non abbiamo mai incontrato introducono una sfera di gomma in una rete e cinquanta milioni di persone vanno in delirio. Non riesco a vedere il nesso causale. Quella palla, chissà come, tocca milioni di persone da vicino, le scuote, le commuove, le trascina, anche se va in rete per un capriccio della sorte dopo sei ore di tentativi. Poteva andare a finire in un'altra rete e allora sarebbe stata un'altra parte del mondo a gridare: ABBIAMO VINTO!

Abbiamo? La prima persona plurale mi lascia perplessa. Io e te non abbiamo vinto niente. I nostri ragazzi? Chi? Bepi e Gigin? Gegé e Pepè? Pasqualino e Carmeniello? Ma no, quei sudati maschioni lì che sputacchiano davanti alle telecamere. Sembrano umani ma sono replicanti fisicamente piùcheperfetti anche se psicologicamente un pochino approssimati, generati in provetta in un allevamento segreto sul pianeta Caspiterino, allenati e pompati in un campo di concentramento alla periferia della galassia e poi importati sulla terra da alcuni ricchissimi imprenditori. Quelli che non fanno investimenti per amor della patria, per intenderci, ma volentieri si fanno passare per generosi benefattori del popolo italiano rifornendolo di sogni, orgoglio e cardiopatie da stadio.

Dunque comprando i replicanti di Caspiterino e appiccicandogli l'etichetta "NOI", gli industriali del pallone non hanno fatto un investimento concreto: hanno investito in emozioni e simboli, che però fruttano meglio della carne di bovino tritato vivo e le patate fritte nell'olio diesel. Il gioco poteva essere un altro, quel che frutta è la passione di parte che rende significativo qualsiasi gioco: il senso di appartenenza a un gruppo e di separazione da tutti gli altri. Non c’è inclusione senza esclusione; più forte l'una, più forte l'altra. Oggigiorno inclusioni ed esclusioni formano un intricato gioco di incastri, ma a chi sa prendere la gente per l'incastro giusto tutto è possibile: si può far dimenticare o ricordare ciò che si vuole a chi si vuole, si può oscurare o illuminare, occultare o scoprire, ingannare e depistare, scatenare una guerra, allevare kamikaze. E' successo qualcosa di cui non dovevamo accorgerci durante i campionati di calcio? Se è successo non ce ne siamo accorti.

Mentre sociologi ed altri impopolarissimi intellettuali cercano di far luce su xenofobia e intolleranza per poterle circoscrivere e ridurre, i nostri veri capi, quelli che via cavo e via satellite tengono le fila di ciò che vogliamo e pensiamo, e dei sogni che di volta in volta ci fanno battere il cuore, investono nella passione di parte. La passione più cieca del nostro apparato istintuale, quella che ci fa scannare per difendere il territorio del branco, le riserve di caccia, i posti di lavoro che i terroni ci portan via.

La condividiamo con i merli e con i dinosauri: è l'incapacità di condividere, di negoziare e di ragionare, è la parte più profondamente asociale e atavicamente virile della scimmia spelacchiata che siamo: la scimmia che si abbuffa fino a non poterne più pur di non condividere un casco di banane.

Servono fossati per incanalare rabbia e frustrazioni laddove non faranno danni a chi le causa, e allora tutti i mezzi sono buoni per scavare fossati negli interstizi fra isole inesistenti e trasformarli in voragini.
Coloro che tengono ambo le chiavi dei nostri cuoricini non ci fanno mai mancare un nemico da detestare, un avversario con cui competere. Non è difficile farci pensare di aver subìto un torto: nessuno può controllare se le notizie che vediamo in TV siano vere fino all'ultima virgola. Viviamo nella verità dei comunicati stampa e degli stralci di riprese ripetuti fino alla nausea. Chi siano gli avversari non ha importanza: che vengano dall'est o dall'ovest, che mangino crauti o pomodori, che nel corso della storia ci abbiano invasi e massacrati o che non li abbiamo mai visti prima fa lo stesso. Che esistano o meno non fa differenza. Competere in che e per che cosa è irrilevante, l'importante è rimanere divisi.

Nel mondo dei maschioni del pianeta Caspiterino il premio è sempre uno e indivisibile, proprio come un casco di banane. Una banana per uno...? No, no, impossibile! La banana mea deve equivalere alla mors tua anche se oggettivamente ci sarebbero un milione di modi diversi, più razionali e umani, per organizzarsi. L'importante è che nessuno si accorga che, se le cose stanno così, potrebbero anche stare in altro modo, e ci starebbero meglio.
Si deve oscurare la mente e rendere ovvio l'assurdo. Spendere miliardi di euro per organizzare una competizione tra replicanti che chissà come e perché ci rappresentano, è un modo come un altro per rendere ovvio l'assurdo. Il semplice fatto di vedere i nostri campioni battersi per noi produce abbastanza scariche di adrenalina da soffocare qualsiasi pensiero coerente, e il gioco è fatto.

I nostri veri capi hanno creato una moltitudine di culti per mantenerci divisi e noi ci stiamo. Il culto del pallone, così come quello dei cantanti, degli attori e dei leader carismatici, esalta, fa sentire l'individuo parte di una grande tribù, gli fa dimenticare i suoi guai, lo scarica, lo reintegra infine esausto e strasanuto(1) nello status quo.

Chi ha avuto ha avuto
chi ha dato ha dato
scordiamci il futuro
scordiamci il passato!
Siam tutti fratelli,
siam buoni siam belli
siam - gaudio profondo -
campioni del mondo!

Quasi quasi sarei stata contenta se avesse vinto il Ghana.

 


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